Sempre meno avvocati
Saranno pure “troppi”, come vuole quella dotta vulgata promossa finanche da Flaubert nel suo Dizionario dei luoghi comuni, ma gli avvocati italiani cominciano a essere anche “meno”. A confermarlo è l’ultima edizione del Rapporto sull’avvocatura curato dal Censis in collaborazione con la Cassa Forense. L’edizione 2023 dello studio, infatti, ha messo in luce un ulteriore calo dello 0,7% del numero degli iscritti agli albi, dopo che l’edizione precedente aveva puntato i riflettori su una riduzione dell’1,3%. Detto in cifre, il numero degli avvocati che nel 2021 era già sceso a 241.830 (rispetto ai 245.030 del 2020), nel 2022 si è ridotto ulteriormente attestandosi a 240.019. Ma ciò che preoccupa di più (e che fa pensare a una tendenza e non solo a un dato contingente) è il fatto che la popolazione forense nazionale starebbe anche invecchiando. Nel 2021 l’età media di un avvocato in Italia era di 42,3 anni, mentre nel 2022, questa è salita a 47,7. Non a caso, il saldo tra iscrizioni e cancellazioni alla Cassa nel 2022 è risultato negativo: a fronte di 8.257 nuove iscrizioni, l’analisi ha messo in risalto 8.698 cancellazioni. In pratica si sono persi per strada 441 avvocati. E a questo si aggiunga un altro rilievo: gli avvocati under 40, in Italia, sono appena il 21,7% degli attivi (se si contassero anche i pensionati, il rapporto calerebbe al 20,4%). Poco più di uno su cinque. Dove, fatti 100 i 49.063 avvocati attivi con meno di 40 anni, gli under 30 sono solo il 12,9%, mentre quelli che hanno tra i 35 e i 39 anni risultano il 50,6%.
La questione reddituale conta, ma non spiega tutto. Tanto più che i redditi della categoria, dopo anni di contrazione, nel 2021 hanno registrato un incremento, seppur lieve. Mediamente, nel primo anno post-pandemico, un legale in Italia ha guadagnato 42.386 euro, vale a dire circa il 12% in più di quanto ha portato a casa nell’anno nero del Covid. Effetto rimbalzo? Probabile. Il 2021 è stato un anno di extra-lavoro per tutti. Ma comunque parliamo di un risultato medio ancora ampiamente lontano dalle “vette” toccate nel 2002 e nel 2007, quando un avvocato riusciva a portare a casa circa 60mila euro (in termini rivalutati).
Le cose, come i dati sull’andamento degli iscritti lasciano intuire, vanno peggio per donne e giovani. Le prime, infatti, hanno un reddito medio di circa 26.530 euro annui. I secondi invece, se hanno tra i 30 e i 34 anni e sono uomini possono contare su un reddito medio dichiarato di 18.685 euro.
Ma è un mercato che sta cambiando. Anche se il punto non è approfondito in modo particolare, lo scenario descritto dal rapporto Censis ci parla di un comparto destinato a essere sempre più costituito da strutture organizzate in cui lavorano più avvocati insieme, suddivisi tra «titolari» e «collaboratori» (con buona pace della norma professionale che ancora non contempla la figura dell’avvocato collaboratore di studio). Infatti, si legge nel Rapporto sull’avvocatura 2023, dall’ultima rilevazione emerge che «a crescere in dimensione sono gli studi/società legali dov’è già presente il numero più elevato tra titolari, collaboratori, praticanti e personale di segreteria: il 20,4% degli studi legali più grandi (con 5 persone e oltre) ha continuato ad aumentare il numero delle persone occupate nell’ultimo anno». Per cui, aggiungiamo noi, è possibile immaginare che con il passare degli anni il numero di avvocato collaboratori sia destinato a crescere ben più rispetto a quello degli avvocati titolari di studio con tutto quello che tale sviluppo determinerà in termini di disciplina della figura dell’avvocato dipendente. Ma l’organizzazione, ovvero l’esercizio della professione in forma associata o comunque collettiva, è solo uno degli elementi che sono indicati come possibile fattore di spinta per il comparto. L’altro fattore, stavolta indicato dagli intervistati dal Censis, è rappresentato da…
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