Think tank dei general counsel: ‘Lavorare insieme per diventare migliori’
C’è fermento nel mondo dei giuristi d’impresa. Una nuova forma di aggregazione sta per prendere il via. Al momento, si tratta di un think tank di general counsel, che – fanno sapere gli ideatori – sta evolvendo verso una vera e propria associazione. Un gruppo che, utilizzando il networking come base di partenza, punta a realizzare progetti concreti, che siano utili al percorso professionale dei singoli membri. I lavori sono ancora in corso e non ci saranno presentazioni ufficiali: “Solo un bicchiere” a metà novembre. Basso profilo, ma ambizioni elevate. Incuriosita, la redazione di Inhousecommunity.it ha rivolto qualche domanda a uno dei promotori del progetto, Francesco Roberto Wembagher (nella foto), che per l’occasione si è fatto portavoce dell’iniziativa.
In tre punti, in cosa consiste il progetto?
Il Think Tank dei General Counsels è un gruppo di networking, cooperazione e kaizen (miglioramento continuo). Ci si conosce, ci si riconosce come simili, si lavora insieme su progetti concreti/standard/best practices, e così, un po’ alla volta, si diventa sempre migliori.
Come si chiamerà l’associazione?
In questi mesi abbiamo lavorato in modalità Think Tank. I progetti stanno partendo, i legami iniziano a stringersi, e il Think Tank sta evolvendo verso la General Counsels Association.
Quanti siete al momento a parteciparvi? E qual è l’obiettivo di partecipazioni “a regime”?
L’obiettivo è essere una decina di persone, di industries, età, gender e competenze diverse, ognuna capace di apportare un punto di vista differenziato. Ad oggi siamo qualcuno in più. La critica più frequente alle associazioni di categoria universalistiche è che sono ottime per fare rappresentanza, ma faticano a mettere in piedi progetti concreti: non danno servizi. Un approccio “pochi ma volenterosi” permette di concentrarci sulle cose pratiche. Meglio un transatlantico, bello, grande, ma che riesce ad approdare solo a Genova e Livorno, o meglio una barca a vela che si ferma su un qualunque scoglio gli sia di interesse? Vedremo.
Quando presentate l’iniziativa?
Nessuna presentazione ufficiale. Solo un bicchiere il giovedì di metà novembre tra noi e qualche persona con cui ci siamo trovati particolarmente bene e che vorremmo presentarci reciprocamente. Sul chi parteciperà, immagino noi, qualche avvocato di law firm/boutique, qualche head hunter, se vi andrà anche voi e altri rappresentanti delle community di settore. La logica è di “open architecture”: ci si confronta con chiunque abbia piacere a confrontarsi, con l’unico criterio selettivo che preferiremmo avere a che fare con persone orientate alla qualità personale e professionale. Non gente di facciata; persone di sostanza.
Qual è il motivo che vi ha spinto a cercare questa soluzione?
Una battuta: il GC, a volte, soffre di solitudine. Ci sono tante associazioni, community, workshop, webinar; conosciamo centinaia di persone e partecipiamo a decine di eventi, che ci riempiono di contatti, notizie, gossip, tendenze, dati, pratiche di mercato, informazioni tecniche. Il suono, quando è troppo, diventa rumore, e ti porta a restare solo con te stesso anche in mezzo a una folla. Servono spazi per fermarsi, riflettere e costruire.
Quindi?
La figura del general counsel, dell’head of legal, del legal manager, insomma della persona che è al vertice dei processi legali di un’impresa, sta cambiando, sta assumendo un ruolo più profondo e ramificato nelle proprie organizzazioni. Questo cambiamento comporta opportunità, ma anche difficoltà. Originariamente, questo gruppo nasce da una chiacchiera a margine di un convegno sulle difficoltà umane che quotidianamente incontriamo nel fare il nostro lavoro (che non è sempre rose e fiori, dovendo gestire una funzione che ogni tanto deve tirare le briglie). Tra una chiacchiera e l’altra, partendo dalle difficoltà, fermandoci e riflettendo, ci si è messi a parlare delle opportunità che potremmo costruire insieme.
Cosa vi distingue da altre associazioni di legali in house?
La data di termine. Questo progetto si è dato un termine di osservazione di 3 anni. Nel 2025 ci sederemo intorno a un tavolo, tireremo le somme, ci chiederemo quale potrà essere il livello successivo e, solo eventualmente, si andrà avanti. Che faresti se sapessi che hai solo tre giorni per stare con una persona a cui tieni? Come tutte le cose che hanno un termine, l’intenzione di tutti è trarne il massimo. Il massimo dell’expertise collettiva, il massimo del networking comune, il massimo del piacere di confrontarsi tra chi fa un percorso simile. Tutto questo produce progetti concreti, operativi, capaci di migliorare la qualità del lavoro e magari, ogni tanto, darci un venerdì pomeriggio libero: un database interno dei migliori professionisti, lo sviluppo di template rock-solid, magari un software di pre-digestione dei contratti, e chi più ne ha più ne metta. L’obiettivo è fare bene il proprio lavoro, e farlo in buona compagnia.
In una frase: come vi definite?
Un piccolo gruppo di persone di buona volontà che, sedutosi intorno a un tavolo nel 2022, con cooperazione e solidarietà, si alza dal tavolo nel 2025 un po’ migliore di prima.
L’obiettivo ultimo?
Governare l’evoluzione. La nostra quanto meno.
L’orizzonte temporale che vi siete dati per un primo bilancio dell’attività è tre anni. Come vede la professione legale in house nel 2025?
Più complessa. Team più strutturati, fatti di persone – soprattutto i più junior – che si considerino professionisti al servizio di clienti interni e non “risorse umane” o “dipendenti”. Legali sempre più ibridi, che dovranno tenere affinate le conoscenze strategico-manageriali, ma che dovranno anche essere professionalmente molto preparati per gestire in house una vasta gamma di progetti. Questo comporterà che anche gli studi esterni dovranno evolversi ed ibridarsi, dovendo modificare la loro offerta di servizi, la struttura delle fee, la sensibilità al business, il tipo di output… ma questa è un’altra storia.