Tech, comunicatore e problem solver: ecco l’avvocato di Linklaters
Simone van der Leij, head of HR Europe della firm, spiega come vengono scelti (e trattenuti) i talenti. «Focus su pochi ma importantissimi punti»
Simone van der Leij (in foto) è head of HR Europe di Linklaters, la law firm internazionale fondata nel 1838 che oggi conta – dati di giugno 2023 alla mano – 561 partner e oltre 8100 persone tra professionisti e business team distribuiti su 31 uffici in 21 nazioni.
Gli uffici di cui si occupa van der Leij sono 16, divisi in 10 Paesi (Spagna, Portogallo, Italia, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Svezia e Polonia), per un totale di oltre 200 soci e 1600 persone tra professionisti e funzioni di supporto.
Legalcommunity l’ha incontrata a Milano durante la ESG Week – un’occasione, per Linklaters Italia, per dare il via a una serie di eventi di approfondimento dei principali temi di sostenibilità nell’agenda dello studio e dei suoi clienti – e le ha fatto qualche domanda sulla gestione delle risorse più importanti per la law firm: le persone. Ecco cosa ci ha raccontato.
Linklaters Europa è oggi una realtà che si fonda sul lavoro di oltre 1800 persone, tra professionisti e staff. Su cosa si basa la vostra politica di attrazione di nuovi candidati?
Ci focalizziamo su pochi ma importantissimi punti. Una forte presenza online innanzitutto, sia attraverso il nostro sito web sia sulle piattaforme social. Collaboriamo inoltre con università e business school con cui stringiamo partnership e organizziamo momenti di confronto. E poi cerchiamo di promuovere il più possibile quelli che sono i veri valori della nostra law firm: diversità, equità, inclusione, eccellenza e innovazione.
Come promuovete i primi tre?
Da tempo abbiamo adottato un approccio globale per realizzare progressi in sei aree di intervento prioritarie (LGBT+, Diversabilities, Gender, Race & Ethnicity, Social Mobility, Age and Life Stage) e offriamo ai nostri team locali la possibilità di promuovere azioni che abbiano senso nel contesto locale. Per esempio, nel 2021 abbiamo attivato il cosiddetto Making Links Scholarship programme, un programma di borse di studio concepito specificamente per sostenere gli studenti universitari di talento provenienti da gruppi sottorappresentati durante i loro primi passi nel mercato del lavoro.
Questa iniziativa è presente e funziona anche in Italia?
Assolutamente sì. Anzi, direi che l’Italia svolge un ruolo attivo nello sviluppo del programma, visto che i professionisti del nostro studio in Italia sono presenti nel team di coordinamento generale e partecipano alle attività di coaching per le sessioni tecniche e formative. In due anni, da quando è partito il programma, la sede milanese di Linklaters ha accolto 6 studenti per uno stage formativo.
E per quanto riguarda l’innovazione?
L’innovazione caratterizza in realtà tutto ciò che facciamo in Linklaters: la nostra consulenza legale, i nostri servizi e il modo in cui gestiamo la nostra attività. Monitoriamo costantemente le nuove tecnologie, tra cui spicca l’intelligenza artificiale generativa, che presenta interessanti potenzialità pur richiedendo un approccio responsabile. Stiamo lavorando in sinergia con i clienti per assicurare un impiego consapevole dell’IA generativa, formando contemporaneamente i nostri professionisti sui vantaggi e sui rischi correlati. Ogni nuova ondata tecnologica genera una serie di sfide complesse per le organizzazioni, un’estensione del panorama normativo, nuove opportunità e cambi di paradigma che influenzeranno sicuramente anche la futura generazione di avvocati.
Cosa intende?
Intendo dire che crediamo di avere un vantaggio competitivo nella preparazione dei professionisti legali del futuro. L’Italia, anche sotto questo punto di vista, occupa una posizione di rilievo: Andrea Arosio, managing partner di Linklaters Italia, fa parte del Global Innovation Steering Committee, composto da professionisti provenienti da diverse aree geografiche e incaricato di ideare e attuare la strategia globale di innovazione dello studio.
Che caratteristiche deve avere l’avvocato ricercato da Linklaters?
Cerchiamo eccellenti laureati in Giurisprudenza, interessati a misurarsi in un contesto internazionale, che abbiano competenze tecnologiche, quindi che sappiano usare strumenti come l’intelligenza artificiale, l’analisi dei dati e le soluzioni di cybersecurity per semplificare i processi e migliorare i servizi legali. Devono essere anche collaborativi, flessibili, adattabili ad un panorama di mercato mutevole. E poi, chiaramente, devono essere dei comunicatori e dei problem solver – due caratteristiche importantissime nella professione legale di ieri, oggi e domani.
OK, passiamo ora alla parte di talent retention… Nel momento in cui riuscite ad attrarre nuovi avvocati e collaboratori, come fate in modo che rimangano in Linklaters il più a lungo possibile?
Oltre ad offrire la possibilità di crescita e a mantenere attive chiare politiche di diversità, equità e inclusione, gioca a nostro vantaggio il fatto di essere una law firm internazionale: il nostro lavoro è trasversale a tutte le giurisdizioni, a tutte le pratiche e per clienti sparsi a livello globale. Agli avvocati con 3-4 anni di esperienza diamo la possibilità di vivere questa internazionalità attraverso, per esempio, il nostro One Europe seat programme, un programma di scambio di un mese in Europa che ci consente di promuovere le relazioni tra i diversi uffici nel Continente.
Come vi è venuto in mente di attivare un programma del genere?
Di fatto è stata una combinazione di due fattori: da un lato i nostri partner che desideravano che i nostri avvocati avessero l’opportunità di vivere un’esperienza all’estero per ampliare il loro network internazionale e dall’altro i nostri stessi avvocati che lo hanno richiesto attraverso un sondaggio che sottoponiamo a scadenze regolari a tutti i collaboratori. Uno strumento utile sia per misurare il loro livello di soddisfazione sia per raccogliere nuove idee su cui lavorare.
Ai feedback date molta importanza, insomma…
Sì, ci assicuriamo che avvocati e business team ricevano regolarmente feedback dai loro partner o manager di riferimento, ma anche dai loro colleghi. Inoltre, abbiamo attivato un canale di feedback verso l’alto, cioè verso i soci. Ci siamo resi conto che un feedback aperto e trasparente è ciò che vuole la nuova generazione di lavoratori e riteniamo che sia essenziale mantenere aperto il dialogo con tutti i professionisti e il personale dello studio legale.
Quali sono le altre strategie di talent retention che adottate?
Oltre al One Europe seat programme, a tutti gli associate italiani proponiamo, a partire da un certo livello di seniority, un distacco di almeno sei mesi all’estero presso altre sedi o clienti. Inoltre, offriamo ai professionisti italiani un ampio pacchetto assicurativo che prevede dall’assicurazione sanitaria, alle coperture per la responsabilità professionale e gli infortuni, non ultimo un’assicurazione per i viaggi sia lavorativi che personali.
La nuova generazione vuole anche molta più flessibilità che in passato, no?
Decisamente. La nostra politica globale di lavoro agile si focalizza su flessibilità e adattabilità: i nostri collaboratori devono trascorrere in ufficio una percentuale di tempo compresa – a seconda dei ruoli – tra il 50% e l’80%; per il resto, possono gestire le attività in remoto in base alle necessità. Questo ci aiuta a garantire maggiore autonomia, flessibilità, parità di accesso al lavoro a distanza e una cultura del lavoro più inclusiva.
Funziona così anche in Italia?
In Italia tutti i professionisti possono lavorare da remoto, pur con alcuni distinguo: gli associate sono tenuti a trascorrere il 50% del tempo in ufficio, mentre i praticanti almeno il 70% del loro tempo, considerando che la formazione fianco a fianco con altri professionisti è fondamentale. È chiaro poi che ci possono essere periodi in cui è richiesta una maggiore presenza, altri meno. Nei mesi di giugno e luglio, invece, tutti gli avvocati possono lavorare a distanza per un massimo di due settimane.