La logica “smart” del lavorare da casa (o da dove ci pare)

Smart working sì o smart working no? Sicuramente questa è una delle domande che, almeno una volta, tutte le aziende si saranno poste. Qualcuna “per moda”, qualche altra per andare incontro alle esigenze dei propri dipendenti. O ancora per tagliare i costi, cambiare paradigma o mentalità.

Al di là delle ragioni delle singole strutture, il dibattito sul lavoro in mobilità fuori dalla sede aziendale, è sempre più acceso, anche grazie alla legge 81/2017. È vero che dai primi dati dell’applicazione della stessa è emerso che solo 114 aziende hanno chiesto (e ottenuto) gli sgravi contributivi pari al 5% della retribuzione prevista per i programmi di lavoro agile. Ma è anche vero che, stando ai dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano gli smart worker in Italia sono saliti nel 2017 a 305mila, dai 240mila del 2016.

Inoltre, gli ultimi dati rilevati da InfoJobs (leggi qui la notizia completa se non lo hai ancora fatto), fotografano delle aziende sempre più consapevoli del fatto che a breve crescerà ulteriormente il numero di dipendenti che solitamente non lavorano in ufficio, ma da casa o altre postazioni.

Di smart working, delle esperienze vissute dalle aziende, ma anche delle opportunità e delle preoccupazioni legate all’ascesa di questa modalità di lavoro hanno parlato i general counsel e alcuni esperti del settore in occasione della tavola rotonda “Smart Working – Smart Life” organizzata dall’Association of corporate counsel (Acc) – l’organizzazione internazionale dei giuristi d’impresa più grande al mondo che conta oltre 40mila membri ed è presente in 85 Paesi – e lo studio FDL.

Dall’incontro è emerso che chi ha già adottato questa nuova modalità ne è molto soddisfatto e a tutti i livelli dell’azienda, dal dipendente al manager. Lo scoglio inziale è stato senz’altro per questi ultimi, che hanno dovuto ricercare nuove modalità di gestione del proprio team, senza cadere nella facile tentazione di temere di non avere la giusta presa sulle risorse solo perché si trovavano fisicamente distanti da loro. Ma il vantaggio più grande è stato quello di aver riscontrato un cambio di mentalità: l’attenzione del lavoro si è spostata sull’obiettivo più che sull’attività in sé. L’azienda ha adottato una logica per risultati.

Certo, il luogo di lavoro è anche un posto di relazioni sociali. Ed è vero che i giovani imparano il mestiere “guardando” i propri “capi” all’azione. Ma lo è anche che lavorare in smart working non significa necessariamente farlo tutti i singoli giorni, o farlo necessariamente da casa. Significa solo essere liberi di scegliere da quale luogo portare avanti gli obiettivi del business. Del resto, viviamo in un mondo globalizzato e lavoriamo con colleghi che si trovano negli Stati Uniti o in Australia, superando anche la difficoltà degli orari del lavoro. E ci riusciamo, no?

Chissà che poi, in uno spazio di co-working non si incontri anche un nuovo partner, una nuova risorsa da assumere o un nuovo cliente…

Gennaro Di Vittorio

SHARE