Indicam: allarmante nuovo report EUIPO-OCSE sulla contraffazione

 

«L’Italia al terzo posto – dietro Stati Uniti e Francia – tra i Paesi più colpiti dalla contraffazione è l’ennesimo segnale di come la situazione stia declinando in maniera allarmante dando una prospettiva che non fa che peggiorare anno dopo anno».

A dirlo è Mario Peserico, presidente di Indicam– l’associazione italiana per la tutela della proprietà intellettuale – commentando i dati del report di EUIPO (Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) e OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) su “Tendenze del commercio di prodotti contraffattiusurpativi” che aggiorna il lavoro svolto nel 2016.

Lo studio conferma, per l’Italia, la stima di 88mila posti di lavoro persi a causa del mercato della contraffazione, un dato che equivale al 2,1% del totale dei lavoratori impiegati nei settori colpiti dal fenomeno. Nel nostro Paese, inoltre, sarebbero 10,3 i miliardi di euro di mancato gettito tributario causato dalla contraffazione (di cui 4,3 miliardi di euro persi per il mancato pagamento dell’IVA), una cifra che equivale al 3,2% del totale delle tasse riscosse e allo 0,62% del PIL.

«Leggere questi numeri – aggiunge Peserico – dà la percezione della realtà con la quale ci confrontiamo ogni giorno. Non è ammissibile che in Europa siano stati importati in un anno prodotti contraffatti per oltre 120 miliardi di euro, una stima aumentata di 30 miliardi in soli tre anni. È tempo per prendere decisioni che vadano a invertire il trend».

La Cina continua a essere il primo tra i Paesi di origine o passaggio delle merci contraffatte coprendo quasi il 60% del totale, seguita da Hong Kong (Paese prevalentemente di transito dei beni) e Turchia.

«I Paesi che sono all’origine dei prodotti contraffatti sono sempre gli stessi da anni» prosegue il presidente di Indicam. «Le nostre imprese non possono più assistere impotenti di fronte a tutto ciò. Il problema deve essere affrontato alla radice, gli Stati e l’Unione Europea devono imporre a questi Paesi l’obbligo di un maggiore rispetto, non a parole ma nei fatti, della proprietà intellettuale. Il commercio mondiale non si può fermare né può subire troppi ostacoli però è necessario che avvenga con regole ferree a tutela dei beni originali. Ogni riunione, ogni incontro bilaterale o plurilaterale, ogni accordo di libero scambio con questi Paesi dovrebbe avere come primo punto un impegno concreto alla lotta alla contraffazione. Ad oggi è tutto da dimostrare il concreto interesse di questi Paesi a instaurare un affidabile e continuo processo di garanzia della proprietà intellettuale».

Il report evidenzia, poi, come il 15,1% del valore dei beni sequestrati contraffatti a livello mondiale sia a danno di marchi registrati in Italia, un dato che pone il Bel Paese al terzo posto di questa classifica, alle spalle di Stati Uniti (con il 24%) e Francia (16,6%).

«È la dimostrazione – conclude Peserico – del fatto che il nostro Paese dovrebbe avere più interesse di molti altri ad alzare il tono della discussione, adottando una politica più forte a sostegno della proprietà intellettuale. Le norme sono da adattare all’evoluzione della contraffazione e l’Italia deve giocare un ruolo di primo piano e non restare più nelle retrovie. È sempre più urgente un rafforzamento nelle nostre Ambasciate nei Paesi più critici con l’inserimento di esperti dedicati a supportare la tutela della proprietà intellettuale. Occorre che gli Stati all’origine della contraffazione siano messi sotto pressione, occorre che le regole dell’online siano aggiornate per prevedere maggiori responsabilità per i grandi intermediari digital che oggi favoriscono il commercio illecito traendone guadagno, occorre che si ribalti il paradigma per cui il commercio mondiale complessivo cala mentre aumenta, e non di poco, solo quello di merce falsa. I consumatori e gli imprenditori meritano una tutela migliore di quella finora ricevuta. È necessario non scendere più a compromessi con chi, Stato o operatore, arreca danni così ingenti al nostro tessuto sociale ed economico».

 

Gennaro Di Vittorio

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