Al via a Bologna la 1a edizione di “Global Inclusion – Generazioni senza frontiere”

C’è il manager-contadino che esalta la “biodiversità” umana, lo startupper che individua i talenti stranieri per le aziende, l’informatica in tacchi a spillo che sfida i pregiudizi di genere nel settore, la manager dell’azienda che misura le performance delle leadership al femminile: quattro storie di diversità e successo imprenditoriale a “Global Inclusion – Generazioni senza confini”, la manifestazione che chiama per la prima volta a raccolta l’intero ecosistema italiano dell’inclusione nei luoghi di lavoro, in programma l’11 settembre a FICO EatalyWorld di Bologna.

La plenaria di apertura ha visto succedersi alcune testimonianze di come l’inclusione della diversità, intesa come capacità di valorizzare le competenze e le skill di ciascun individuo, non sia soltanto faccenda da ascriversi nell’alveo del politically correct, ma diventi asset strategico per le imprese. Lo racconta la storia di Alberto Balestrazzi, ceo di Auticon, azienda presente in sette Paesi dislocati in tre continenti diversi, società erogatrice di consulenze e servizi informatici, i cui dipendenti sono nella totalità autistici o nello spettro dell’autismo. «Dopo 25 anni come manager di multinazionali ho mollato tutto e sono andato a vivere in campagna, occupandomi nella fattispecie di frutti antichi. Un’esperienza dalla quale ho imparato tutto il valore della biodiversità: non differenza da compensare, ma più ampio spettro di sapori e varietà –racconta Balestrazzi -. Sono tornato nel mondo dell’impresa convinto che la ricchezza della biodiversità potesse essere traslata dall’agroalimentare agli esseri umani e alle aziende, trasformando le differenze in valore e non in difformità rispetto a un modello standardizzato. Le persone che lavorano per Auticon dimostrano questo assunto: si tratta di individui con un particolare tipo di neurosviluppo, tale da poter fornire un enorme contributo al mondo dell’informatica. In un articolo di qualche settimana fa Wired ha dichiarato che il cervello delle persone autistiche è particolarmente adatto al machine learning. Il mio sogno? Che una società come la mia tra vent’anni non esista più, perché tutte le aziende avranno imparato a valorizzare al meglio le caratteristiche di ciascuno».

Un tema caldo come quello dell’immigrazione è quello che affronta Chris Richmond, fondatore dell’app Mygrants, che si occupa di mappare le competenze e le attitudini imprenditoriali dei migranti per facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro. I dati parlano da soli: «entro il 2100 in Africa nasceranno il 50% dei bambini a livello mondiale, ma il continente africano, seppur in un trend di svilupo positivo e rapido, non riuscirà ad assorbire tutta la forza lavoro che sarà in grado di produrre: le migrazioni economiche saranno dunque inevitabili, soprattutto verso l’Italia e l’Europa». Migrazioni che hanno interessato il nostro paese soprattutto a partire dal 2011: da allora circa 800mila immigrati sono sbarcati sulle coste italiane. «L’80% di essi ha meno di 35 anni, l’88% non ha frequentato l’Università. Cosa vuole dire lasciare il proprio paese a 13, 14 o 15 anni, dover prendere spesso decisioni importanti in tempi rapidissimi lo possiamo immaginare – dice Richmond, che continua: – il 60% del fabbisogno occupazionale nel nostro paese non viene evaso. Alle aziende occorrono nuovi bacini dai quali attingere risorse, e soprattutto hanno bisogno di un veloce matching tra competenze ricercate e disponibilità di risorse. Mygrants nasce proprio con questo scopo: ad oggi la piattaforma, che offre ai migranti formazione ed informazioni di varia natura, conta circa 60mila utenti attivi, di cui un 10% si trova ancora in Africa». Sono circa 7.700 i profili cosiddetti “high skilled”. Un esempio pratico? Un’azienda emiliano romagnola regione si è rivolta a Mygrants a settembre dello scorso anno perché aveva necessità di una risorsa con competenze informatiche, madrelingua araba e con un’ottima conoscenza delle lingue italiana, inglese e francese. «Il nostro database – dice Richmond – ha selezionato alcuni profili, e dopo una settimana l’azienda ha individuato la persona da inserire, immessa in organico dopo 3 mesi, dopo il tirocinio. È solo uno dei tantissimi esempi che ci dimostrano come l’immigrazione possa essere una enorme risorsa, e non solo un problema come si tende purtroppo a considerarla oggi».

Ornella Chinotti è managing director di SHL, società che aiuta le aziende ad avere successo individuando le risorse adatte ai differenti ruoli senza paura di sfidare lo status quo. «Credo che le differenze nei contesti organizzativi rappresentino un valore: ciascuno di noi è unico e irripetibile, non ci si deve appiattire su modelli preconfezionati – dice Chinotti. – Spesso mi sento dire dai manager delle aziende: “non abbiamo le persone giuste” o “ci mancano i giovani” o ancora “non abbiamo leader capaci”. È un clima di sfiducia generalizzata che sento in costante aumento dal 2013. Io sono convinta che molto spesso, semplicemente, non si cerchi nella giusta direzione, restando ancorati a stereotipi ormai superati». Per questo SHL ha condotto una grande ricerca coinvolgendo 33mila persone da 85 aziende diverse a livello internazionale. I risultati? «Abbiamo dimostrato come il contesto sia la variabile che più influenza le performance dei leader; e ancora, come certe caratteristiche personali sono adatte ad affrontare certe sfide più di altre, o come l’esperienza sia un mediatore delle carenze di caratteristiche ma ciascuno di noi può essere messo nelle condizioni di acquisire competenze». E le donne? «Le donne sono ampiamente sottorappresentate nelle posizioni di leadership, e per buona parte questo è dovuto a pregiudiziali rispetto alle capacità di una donna di avere caratteristiche da leader. Ma non è così: se messe nelle opportune condizioni le donne ad esempio risultano più preparate ad affrontare sfide urgenti ed impattanti. La ricerca ha dimostrato anche come le companies che presentano diversità di genere o di provenienza geografica hanno un ritorno finanziario più alto del 15% rispetto alla media nazionale». La situazione del gender gap, se pur migliorata, non si è evoluta molto negli ultimi 30 anni. «È tempo invece di andare oltre – conclude Chinotti: – la nostra ricerca ha dimostrato come le donne abbiano migliori performance rispetto agli uomini sulle competenze più disparate, dall’appianamento dei conflitti al raggiungimento di più alti margini di profitto».

Di donne e pregiudizi parla anche Floriana Ferrara, direttrice della fondazione Ibm: «sono una master inventor, ossia una creatrice di brevetti tecnologici, e in questa veste intendo essere la dimostrazione che l’informatica non è affare di uomini». Ma essere donna nel mondo dell’informatica è ancora un tabù: non in molti sono pronti ad accettare una donna a capo di una struttura che si occupa di intelligenza artificiale. «Mi accadde – racconta Ferrara – che in occasione di una presentazione di un lavoro assieme al mio team, quando dissi che ero io quella F. Ferrara a capo del progetto e non un uomo, mi sentii controbattere con molta spontaneità “ma lei è una donna!». Una passione, quella per l’informatica, nata in seguito alla bocciatura alle elementari: «era il1975 e il mio maestro decretò che non sarei arrivata alla fine del ciclo scolastico».Fortunatamente un altro insegnante intuì la sua dislessia e la accompagnò nel percorso di apprendimento all’apprendimento, permettendole di rivelare uno straordinario talento per la matematica e l’informatica. «All’Università, dopo un periodo di “mascolinizzazione” per dimostrarmi all’altezza dell’ambiente imparai che dovevo invece difendere il mio essere donna. E quando si trattò di scegliere un lavoro, individuai nell’IBM – azienda che nel 1915 assunse il primo disabile e nel 1930 la prima donna – il luogo che faceva per me». Oggi Ferrara dirige la Fondazione IBM, che si occupa di progetti di informatica intesi a migliorare la qualità della vita a 360 gradi. Il progetto N.E.R.D., “Non è Roba per Donne” intende avvicinare le ragazze al mondo dell’informatica, e rivelarne la predisposizione al di là di stereotipi e pregiudizi.

Gennaro Di Vittorio

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