Italia, solo il 35,8% delle persone con disabilità è occupato
Lisa Noja: «Ancora troppe barriere sui luoghi di lavoro. Organizzarsi per l’accoglienza è più faticoso che evadere la legge»
QUESTO ARTICOLO COMPARE NELL’ULTIMO NUMERO DI MAG, nella rubrica Diverso sarà lei
Ero una bambina quando, nel 1997, la Mattel lanciò sul mercato Becky, la prima Barbie in sedia a rotelle. Erano passati sette anni dall’Americans with Disabilities Act, e la bambola più famosa del mondo mostrava per la prima volta ai bambini il concetto di diversità e inclusione. In due settimane furono venduti 6.000 esemplari. Chicago Tribune titolava così uno degli articoli più letti di quell’anno: “Doll in wheelchair brings real world to the barbie line”. Un sogno che durò poco, tuttavia. E cioè fino a quando ci si rese conto che Becky non poteva entrare nella favolosa Dreamhouse di Barbie perché l’ascensore della magica villa non era a prova di invalido: la carrozzina non ci stava.
Facciamo un breve salto temporale fino a oggi. Passiamo dalla “Casa dei sogni” al lavoro dei sogni (o quasi). Quanti passi in avanti abbiamo fatto in poco più di un ventennio? Alzi la mano chi, nel proprio ufficio, non vede ostacoli (le cosiddette barriere architettoniche) che rendono difficile o impossibile il passaggio e l’integrazione di persone con disabilità motorie, sensoriali o intellettive. Scalini, strade non opportunamente asfaltate, spazi stretti, pendenze, oggetti che sporgono. Gli ascensori, le scrivanie, i lavandini, le docce e i gabinetti… sono utilizzabili anche da lavoratori disabili?
Numeri Andel del 2021 alla mano, nel nostro Paese è occupato solo il 35,8% delle persone con disabilità (a fronte del 50% in Europa). Circa un milione (su un totale di 3 milioni di persone disabili, secondo i dati Istat del 2019) risulta ancora disoccupato o in cerca del primo impiego.
Ne abbiamo parlato con Lisa Noja, a lungo avvocata prima di diventare capogruppo di Italia Viva nella precedente legislatura e attuale vicepresidente della Commissione Bilancio del comune di Milano per la sezione welfare e affari sociali. Il 9 gennaio scorso ha annunciato la sua candidatura come guida della lista del Terzo Polo a Milano a sostegno di Letizia Moratti in Lombardia. Si è detta pronta, in caso di vittoria, ad occuparsi di sanità. È da sempre affetta da atrofia muscolare spinale.
Come siamo messi in Italia?
L’accessibilità ai luoghi di lavoro è uno dei temi più complessi per chi soffre di disabilità. Con il Jobs Act è stata introdotta la figura del disability manager che dovrebbe aiutare le aziende a occuparsi di queste faccende. Di fatto, poi, i decreti attuativi che definiscono questa funzione ancora non esistono. Le imprese si gestiscono autonomamente. Quindi abbiamo da un lato grandi e moderni studi legali e professionali disable-frendly. Dall’altro, ci sono ancora troppe realtà più piccole inserite in edifici con gradini e accessibilità difficoltosa. Una questione, questa, che ancora una volta ci rende distanti anni luce dai paesi anglosassoni dove – proprio grazie al già menzionato Americans with Disabilities Act, ndr – esistono regole chiare e stringenti che stabiliscono due principi chiave: il primo è che ogni volta che viene ristrutturato un pezzo di un immobile (compresi i tavolini dei bar) questo deve essere reso accessibile a tutti; il secondo è che, se il primo principio non viene rispettato, si parla di discriminazione e scattano le sanzioni. È così: è considerato discriminante impedire ad una persona di accedere ad uno spazio pubblico.
Perché non succede lo stesso anche in Italia?
Di certo tutto questo da un lato si lega al fatto che negli USA la lotta per i diritti civili si è focalizzata molto sulle persone con disabilità. Anche se non nascondo che loro sono facilitati dall’avere edifici molto più grandi e moderni, mentre noi abbiamo edifici spesso molto vecchi e con sovraintendenze che si impuntano… Ma non solo. In Italia, oltre ad un intervento legislativo organico, è fondamentale che ci si concentri anche sulla formazione, introducendo materie curricolari obbligatorie sull’accessibilità (come già sta facendo il Politecnico) così da arrivare a una cultura sulla disabilità. E poi dovrebbe essere introdotta una leva fiscale per la sostenibilità sociale, alla pari di quella della sostenibilità energetica.
Soffermiamoci sul concetto di cultura. Con che tipo di cultura si è interfacciata lei nel corso della sua carriera?
A dirla tutta, ai primi colloqui che facevo dopo la laurea, mi chiedevo sempre se nell’edificio ci fosse una rampa per poter accedere agli uffici dell’hr. A parte questo, ho sempre trovato grande attenzione e disponibilità che mi ha consentito di fare un’ottima carriera e di essere nella condizione di dare il meglio delle mie possibilità. Ma non sono tutti fortunati come me. E se si considerasse che la diversità sul luogo di lavoro è un investimento collettivo per tutti, molte cose cambierebbero. Invece il nostro paese preferisce ancora investire poco sull’emancipazione sociale della persona e sulla rete sociale che si crea attraverso il lavoro, che arricchisce economicamente e socialmente non solo il lavoratore, ma anche l’azienda, che si dimostra in grado di comprendere i bisogni di tutti e sfruttare al meglio le loro capacità.
Ma non esisteva una legge (la n° 68 del 1999) che obbligava le aziende a promuovere l’integrazione lavorativa dei disabili?
Sì, ma spesso i datori di lavoro non temono le multe perché i controlli sono quasi inesistenti. O, ancora peggio, organizzarsi per l’accoglienza di un disabile in ufficio è più faticoso che evadere la legge.
In che senso?
Organizzarsi per l’accoglienza significa non solo modificare le postazioni di lavoro, ma prevedere che questi lavoratori hanno esigenze diverse, anche fisiologiche e anche nel corso della stessa giornata. Se sono disabilità cognitive, bisogna intraprendere un percorso per lavorare in determinate condizioni più o meno protette, magari affidandosi a un esperto. Insomma, si tratta certamente di sforzi, che a mio parere tuttavia vengono sempre ripagati.
Come vede questo governo per ciò che riguarda l’attenzione alle disabilità?
Troppo presto per giudicare, sebbene nella legge di bilancio la disabilità sia una tematica piuttosto assente. Ma i politici hanno un grande banco di prova davanti a sé: la legge delega sulle disabilità approvata durante il governo Draghi ai fini del PNRR a cui dovrà ora essere data attuazione. E quando ero dentro il Parlamento ho capito che la fase più complicata, molto più che quella legislativa, è quella attuativa. Il testo comunque contiene un programma amplissimo, che se venisse davvero realizzato porterebbe finalmente ad avere più gente che lavora, che si muove, che spende, che è serena e indipendente. Quindi, alla fine, anche una migliore economia.
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