Parità salariale di genere, Pwc Tls certifica le aziende

A chiederglielo espressamente, nessuna azienda ammetterebbe di avere al proprio interno un problema di disparità salariale di genere. Ma potrebbe avere qualche difficoltà a provarlo.

Le ricerche dimostrano che esistono differenze di retribuzione uomo-donna a parità di mansione in tutto  il mondo. Nel Global Gender Gap Report 2020 , il World Economic Forum (di cui abbiamo parlato su MAG 135) ha stimato che, senza ulteriori azioni volte a colmare i divari, l’uguaglianza economica di genere non si raggiungerà prima di 257 anni.

Se in Paesi come il Regno Unito e la Francia, rispettivamente con la “Equality Act 2010 Regulations 2017” (di cui avevamo parlato su MAG 96) e l’“Index de l’égalité femmes-hommes”, le aziende devono rendere pubblici i dati sul gap di genere, nel nostro Paese la situazione, senza una legge specifica, rimane sommersa.

Ma chi volesse dare prova di impegno virtuoso verso l’uguaglianza retributiva può ricorrere alle certificazioni. In particolare, la fondazione Equal-Salary, un’organizzazione no profit nata in Svizzera ha messo a punto una metodologia riconosciuta dalla Commissione Europea, che certifica le aziende che garantiscono equità retributiva tra uomo e donna.

Pwc è il soggetto accreditato dalla fondazione a svolgere l’analisi delle politiche e delle pratiche messe in atto dall’azienda per garantire la parità di genere.

Come funziona

«In sostanza, facciamo un audit sull’azienda, verificando se a parità di ruolo, le donne sono retribuite allo stesso modo degli uomini», racconta a MAG Suzana Branilovic, director di Pwc Tls e co-responsabile del servizio insieme alla partner Nicla Cimmino.

Si parte da una mappatura delle retribuzioni per misurare l’eventuale pay gap, spiega la professionista, e dalla valutazione di policy e processi per scovare inadeguatezze o pregiudizi inconsci. Se la differenza tra le remunerazioni donna-uomo è minore o uguale al 5% e il coefficiente di determinazione R2 (la proporzione tra la variabilità dei dati e la correttezza del modello statistico utilizzato) è maggiore o uguale al 90%, allora si passa alla fase 2, altrimenti l’azienda ha sei mesi di tempo per adeguarsi ai criteri richiesti. «Le imprese che riescono a superare questo primo step devono comunque giustificare i casi anomali perché rientrare all’interno del 5% significa comunque che per qualcuno il gap è dello 0%, ma per qualcun altro è del 20%. Questo tipo di audit non ignora nessuno, imponendo all’azienda di giustificare ogni singola posizione e presentare un piano di rientro», precisa Branilovic.

 

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Gennaro Di Vittorio

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