Discovery, regia italiana per il legal del Sud Europa

Da un business concentrato esclusivamente nel segmento “pay”, a un’attività che è sbarcata sul free to air, dando vita a una delle crescite più significative nel mercato televisivo nazionale tanto da diventare uno dei primi quattro operatori.

È la storia di Discovery. Un viaggio cominciato in Italia nel 1997. E che negli ultimi sette anni ha vissuto i suoi momenti più importanti. Nel 2010 Discovery contava poche decine di dipendenti in Italia. Oggi, invece, sono quasi 300. Nel frattempo, la Penisola è diventata il quartier generale del gruppo per la Regione del Sud Europa, che comprende, oltre l’Italia, la Francia, Spagna e Portogallo.

A raccontare questa storia a MAG, attraverso la lente legale, è Marcello Dolores. Classe 1980, l’avvocato è entrato in Discovery Networks nel 2012 ed oggi è vice presidente degli affari legali e regolamentari per tutto il Sud Europa. Il suo percorso professionale e l’accelerazione del gruppo nel mercato Italiano praticamente coincidono. E non è un caso. «Fino a quando il business in Italia era legato solo all’attività di un pacchetto di canali distribuito sulle piattaforme a pagamento (Discovery Channel, Discovery Science, Discovery Travel&Living e AnimalPlanet su Sky e Mediaset, ndr) le esigenze legali del gruppo sul territorio erano piuttosto limitate e venivano gestite in coordinamento con gli uffici centrali. Quindi, agli inizi non è stato necessario avviare un team di lavoro che seguisse tali questioni in loco», racconta Dolores che prima di arrivare in Discovery ha lavorato per Fox International Channels occupandosi sempre di affari legali e regolamentari e seguendo il lancio dei diversi canali del gruppo sulla piattaforma satellitare.

Il cambio di passo è cominciato a cavallo tra il 2010 e il 2011 con il debutto sul digitale terrestre e il lancio di Real Time, prima e Dmax dopo. «Nel momento in cui si va in chiaro», spiega Dolores, «è importante ottenere l’autorizzazione a trasmettere in Italia, bisogna affrontare le gare per l’assegnazione dei numeri dell’Lcn e poi vanno firmati i contratti con le società che gestiscono la capacità trasmissiva del DTT ». All’epoca era Telecom Italia Media Broadcasting. «Si tratta di contratti tecnici che richiedono competenze e conoscenza del mercato locali». 

Le cose cambiano anche dal punto di vista della programmazione, visto che si passa dalla platea dei 5 milioni di abbonati al satellite a quella ben più ampia di potenziali 45 milioni di telespettatori. «Bisogna allargare l’offerta con contenuti locali, riconoscibili, come talent, molti nuovi format creati con autori e produttori italiani e versioni italiane di programmi appartenenti alla pipeline di contenuti del gruppo Discovery. Tutto questo rivoluziona il business e fa nascere l’esigenza di avere anche un presidio sugli affari legali e regolamentari locale, forte e radicato», prosegueDolores.

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Gennaro Di Vittorio

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