Webinar, (Di)suguaglianza di genere: uragano Covid-19

di Alessio Foderi

La pandemia da Covid-19 ha risollevato un problema culturale già endemico nel nostro paese: la disuguaglianza di genere. Anzi, nel giro di poco tempo, l’accelerazione delle dinamiche sociali imposte dal lockdown ha fatto regredire i progressi finora compiuti, confinando il ruolo della donna a un precario equilibrio fra gli impegni lavorativi e quelli domestici. Per questo, il momento della fase della ripartenza diviene fondamentale, una vera e propria chiave di volta verso il domani, come hanno concordato tutti i partecipanti al webinar di LC Publishing “Uguaglianza di genere – a rischio estinzione causa Covid-19”, moderato dalla capo-servizio Ilaria Iaquinta.

Alla tavola virtuale, organizzata in collaborazione con EY, hanno partecipato Roberta Guaineri, assessore a Turismo, Sport e Qualità della vita del Comune di Milano; Sandra Mori, DPO Europe di Coca-Cola; Alessia Mosca, promotrice legge Golfo-Mosca e vice-presidente dell’associazione “Fuori Quota”; Stefania Radoccia, managing partner, EY Studio Legale Tributario; Marco Reggiani, general counsel di Snam e Annachiara Svelto, amministratore indipendente Enel e Techedge. Una presenza prevalentemente femminile anche nel pubblico che, come precisato in apertura dal managing director di LC, Aldo Scaringella, ha visto «solo il 10% dei registrati di sesso maschile».

Il ruolo degli uomini

Il dato citato è un segnale evidente del fatto che i temi riguardanti la diversity vengono prevalentemente masticati dai diretti interessati e non da altri, in questo caso gli uomini. Una contraddizione in termini visto che la gender equality li riguarda direttamente se si considera che in Italia ci sono 1,6 milioni di donne in più degli uomini e che sono state proprio le donne a combattere in prima linea contro il virus, tra ospedali, farmacie, ricerca e laboratori. «Credo che dovremmo iniziare a obbligare soprattutto gli uomini all’interno delle aziende per una formazione alla parità», sostiene Alessia Mosca. «Non è una questione organizzativa – prosegue la vice-presidente di Fuori Quota – ma una questione di efficienza, di cambiamento, che le donne e gli uomini possono giocare all’interno della società. Per questo a volte le forzature sono necessarie e, quindi, bisogna coinvolgere la parte maschile delle organizzazioni e delle istituzioni».

«Come ci sono gli obblighi di fare i corsi sulla sicurezza – fa eco Annachiara Svelto – forse dovremmo pensare di fare dei corsi sulla gender parity. Così chi non ci vuole pensare, ascoltando e riflettendo rivede la sua educazione, perché il tema resta culturale». Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’unica quota azzurra del webinar, Marco Reggiani, che sostiene che la disuguaglianza di genere sia a tutti gli effetti un fatto di cultura: «finché nella nostra società si pensa che la leadership deve essere gerarchica e carismatica, qualità cucite addosso all’uomo, non si faranno significativi passi in avanti. Queste cose devono cambiare e devono essere gli uomini a farlo». Per il general counsel di Snam, quindi, bisogna cambiare la mentalità dell’uomo e proprio da quest’ultimo deve partire il cambiamento.

Inoltre, quella delle donne è una penalizzazione che si accentua durante la pandemia vedendo le donne sfavorite in moltissimi settori. «Se si pensa che a Milano il turismo è crollato del 95% negli ultimi due mesi e che molte donne fanno parte di questo settore, come guide turistiche ad esempio, sicuramente si potrà dire che sono state fortemente penalizzate dalla crisi», ricorda Roberta Guaineri. Ma, forse, il vero passo indietro è stato quello che ha visto ai posti di comando, tra nomine di task force di emergenza e consigli di amministrazione di quotate pubbliche, un numero sempre maggiore di uomini e una diminuzione di donne.  «Nelle ultime settimane mi ha fatto arrabbiare quello che è successo, perché sembrava che tutti i passi in avanti compiuti fossero stati dimenticati. Come se le questioni femminili fossero un orpello che sia aggiunge quando tutto va bene, mentre quando c’è l’emergenza si ritorna al vecchio stampo», chiosa Alessia Mosca.

No, non è smart working

Una maggiore presenza delle donne nei processi decisionali dell’impresa può – e avrebbe potuto – garantire una migliore organizzazione della gestione del lavoro, anche da remoto. Tuttavia, «parlare di smart working è inopportuno – precisa Guaineri – Non significa monopolizzare una persona davanti al computer 10 ore al giorno con i bambini che devono seguire le lezioni online o dividersi il computer col marito per lavorare. Credo che in questo contesto, nella distribuzione del tempo di lavoro siano le donne in primis a dovere portare la loro testimonianza». In una multinazionale come Coca-Cola, invece, «lo smart working è sempre stato inteso come un lavoro di squadra che consente a persone che si trovano in paesi diversi di collaborare e non semplicemente come un lavoro da remoto», spiega Sandra Mori.

 

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Gennaro Di Vittorio

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