Violenza digitale: milioni di click, zero denunce. Parla Bernardini De Pace
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Ogni volta che pensiamo di aver toccato il fondo, scopriamo poco più tardi l’esistenza di un sotterraneo ancora più buio e freddo. La violenza contro le donne – anche nel suo formato digitale – lo dimostra: non conosce limiti né vergogna. E i numeri, più di ogni altra cosa, ci ricordano che il problema è molto più diffuso di quanto si supponga. Ecco qualche esempio da brivido:
- 32MILA – Credete si tratti della capienza di un palazzetto dello sport? Dei tifosi di una squadra di Serie B riuniti allo stadio una domenica pomeriggio? Sbagliato! Erano gli utenti del gruppo Facebook “Mia Moglie”. Non ultras né supporter, ma uomini che per sei anni hanno condiviso le foto delle proprie compagne come fossero figurine – scambiate, esibite, commentate, ridotte a oggetto di consumo.
- 800MILA – Sarà il numero degli abitanti di una città come Genova, no? E invece no: erano gli iscritti a Phica.eu. Nato nel 2005 come piattaforma di pornografia amatoriale online, negli anni è diventato un gigantesco archivio di fotografie di donne rubate, private, caricate senza consenso.
- E ancora: 20 MILIONI – State forse pensando ai passeggeri che transitano in un grande aeroporto internazionale? Macché! Erano le visite annuali su Phica.eu. Un traffico enorme che generava più di un milione di euro l’anno di fatturato, in un’economia parallela che ha trasformato lo stupro digitale in un business a sei zeri.
A fronte di questi numeri, c’è chi, come lo street artist Andrea Villa, ha scelto di usare l’arma dell’ironia, tappezzando i muri di Torino con poster di mariti in mutande per ribaltare la logica del gruppo “Mia Moglie”. E chi, come l’avvocata Annamaria Bernardini De Pace, ha provato a “violentare la giurisprudenza” (come lei stessa afferma) con una class action a difesa delle donne coinvolte.
Nessuna delle vittime, tuttavia, ha risposto all’appello. Solo tre telefonate, tutte anonime. «Non ho il coraggio di denunciare, mio marito mi picchia», racconta una. «Non voglio che mio figlio venga additato», confessa un’altra. Le ragioni cambiano, ma l’esito resta il medesimo: il silenzio.
Per Bernardini De Pace, la mancata adesione non è solo una sconfitta legale, ma un sintomo culturale: l’assenza di sorellanza, la connivenza silenziosa che alimenta la brutalità maschile, la rassegnazione di chi subisce. «Stare zitte vuol dire essere complici della violenza», mette in chiaro. E in questa puntata di Diverso sarà lei racconta la sua battaglia fallita, ma anche l’urgenza di un cambio di passo. Buon ascolto!