Una cultura aziendale sana. Perché il general counsel deve fare la sua parte

Dei numerosi cappelli che il general counsel (GC) indossa in azienda abbiamo parlato più volte su inhousecommunity.it e MAG. E abbiamo anche detto che, col tempo, questi cappelli sono pure aumentati. Ma non abbiamo parlato del ruolo che i giuristi d’impresa possono avere rispetto a un tema che solo apparentemente – e vedremo perché – ha poco a che fare col business: la cultura aziendale.

Lo spunto di riflessione arriva da un interessante articolo firmato da Betsy Blumenthal (senior managing director della practice Business Intelligence and Investigations di Kroll) e pubblicato da Law.com che riflette sulle conseguenze negative che una cultura aziendale “tossica” ha sulle performance dell’impresa.

Tra le conseguenze di una cultura non sana ci sono molestie, mobbing o vessazioni, turnover dei dipendenti e altri comportamenti che possono condurre a problematiche reputazionali, spiega l’esperta. E che le questioni reputazionali rivestano una certa importanza per il management e, conseguentemente, per i GC è chiaro a tutti.

Se poi la società è anche quotata, i costi di una cultura negativa possono essere ancora più devastanti (attivismo degli investitori, volatilità estrema e distruzione della capitalizzazione di mercato) e distogliere l’attenzione degli executive e del cda dal raggiungimento degli obiettivi strategici. Il tutto mentre i competitor che non hanno di questi problemi possono prosperare anche grazie al fatto che non devono sobbarcarsi il prezzo dello scarso benessere dei dipendenti (che è risaputo si riflette negativamente sul conto aziendale) o del continuo andirivieni di professionalità.

Una volta compresi i rischi di una cultura negativa in azienda – secondo l’esperta – è importante individuare prontamente i segnali di pericolo visto che il più delle volte i sintomi si manifestano a manager differenti, in aree aziendali disparate e in periodi diversi. Per questo vale la regola secondo la quale “la migliore difesa è l’offesa”. Serve un approccio investigativo. Oltre a rilevare i difetti, potrebbe produrre dei vantaggi, svelando punti di forza dell’azienda precedentemente non individuati da utilizzare come tratti distintivi anche in occasione dei processi di recruiting di personale, clienti o investitori.

Da dove partire? Per esempio, spiega Blumenthal, dal monitoraggio del corretto funzionamento della governance per verificare che funzioni il sistema di segnalazione dei problemi o che la comunicazione interna sia chiara e tempestiva. Inoltre, parlare con gli ex dipendenti può fornire spunti interessanti e utilizzabili.

Che ruolo possono ritagliarsi in GC in tutto questo? Dipende dall’organizzazione. Di certo, tutto ciò che riguarda lo stato di salute a lungo termine delle aziende è di cruciale interesse per chi siede ai suoi vertici. E se il GC fa parte o vuole entrare a far parte della “C-Suite” va da sé che non può chiudere gli occhi davanti a questi temi.

Concludo con l’ultima immagine che evoca l’esperta e che condivido: «la cultura aziendale è come l’aria che respiriamo; ci siamo talmente abituati che non ci pensiamo spesso. Ma come l’aria che respiriamo, i livelli di inquinamento sono importanti e l’unico modo per determinare la qualità dell’aria è controllarla. La buona notizia è che l’aria pulita è rigenerante, per la salute delle persone e dell’azienda».

Gennaro Di Vittorio

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