Skill gap e skill mismatch: un pericolo per le aziende italiane
A livello globale, 1,3 miliardi di persone sono sovraqualificate o sottoqualificate. Un situazione che nei paesi Ocse vede addirittura un rapporto di uno a tre. Sono dati che emergono da un’indagine di Boston Consulting Group (Bcg) pubblicata a fine 2020 col titolo Alleviating the Heavy Toll of the Global Skills Mismatch.
Lo studio affronta quello che viene definito skill gap, ovvero la mancanza di risorse con le giuste competenze per svolgere un lavoro specifico. Ma, soprattutto, si parla di skill mismatch, ovvero quella situazione in cui la forza lavoro presente non dispone delle tecniche e dei mezzi adatti al lavoro per via dell’evoluzione dello stesso. Secondo lo ricerca Bcg, che si basa sugli ultimi dati disponibili del 2018, lo skill mismatch si traduce in 8mila miliardi di dollari di Pil mancato ogni anno, equivalenti al 6%. Per il 2020 si prevede addirittura di arrivare al 10%.
La situazione italiana
Per una misurazione più completa, Bcg ha messo a punto il Future Skills Architect (Fsa), strumento che consente di analizzare le prestazioni di un Paese calcolandone l’indice di “maturità”, o FSA Maturity Index, relativo alla presenza di competenze richieste dal mercato del lavoro. L’indice si basa su 59 indicatori e calcolato per 75 paesi del mondo. In questo contesto, il nostro paese non brilla. L’Italia, infatti, si trova alla posizione numero 34, sotto Cile e Malesia. La percentuale di skill mismatch ammonta infatti al 38,2% con quasi dieci milioni di lavoratori male assortiti. L’azione del governo per sviluppare nuove competenze vede un punteggio di 44,2 su 100, di poco sotto della media mondiale, 45.
Va meglio invece la Lifelong Employability, che supera 52 punti (su un punteggio medio di 43) e la Skill Liquidity, che misura l’ampiezza, anche geografica, delle domande di lavoro: punteggio di 62 su una media di 50. Decisamente da migliorare è il livello Mooc (Massive Open Online Courses): la partecipazione in Italia è due volte inferiore a paesi come Olanda, Usa, Svizzera, Singapore, Australia, Islanda, Canada. Non solo, la percentuale delle persone che lavoravano da remoto in epoca pre-Covid era ferma al 23% contro il 40% dei primi in classifica. Insomma, se il mondo lavorativo cambia a velocità altissima, la formazione non sembra stare al passo, con ripercussioni sull’economia e il Pil.