Se il consulente esterno chiacchiera troppo
A chi non è capitato di assistere alle interminabili telefonate del vicino di metro, di sbirciare le chat sullo smartphone della persona in coda al supermercato o di ascoltare durante un viaggio in ascensore i piani per le vacanze del proprio vicino di casa. Un fenomeno che è aumentato soprattutto con lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione mobili – come computer, smartphone e tablet – che ci consentono di comunicare in ogni momento e di essere sempre rintracciabili. Di solito, episodi come quelli elencati, provocano una sensazione di fastidio o, nei più benevoli, di ilarità. Non va così per gli avvocati troppo loquaci e per i loro (sfortunati) clienti.
Le chiacchiere involontarie dei consulenti esterni sono un rischio da cui i general counsel dovrebbero guardarsi attentamente. Il pericolo, in un mondo sempre più interconnesso, è infatti quello di perdere la percezione di ciò che costituisce una violazione all’obbligo etico di mantenere confidenziali le informazioni dei clienti. Corporate Counsel ha ripreso un post sul blog di Michael McCabe Jr., partner di Funk & Bolton, in cui il legale, che si occupa di proprietà intellettuale ed etica professionale, racconta di un incidente particolarmente preoccupante avvenuto su un aereo e che coinvolge alcuni avvocati molto indiscreti.
“Gli avvocati che erano seduti davanti McCabe durante il volo – si legge nell’articolo – stavano discutendo di un caso su cui stavano lavorando e parlavano della loro strategia. Inoltre avevano i pc aperti con i documenti legali ben visibili a tutti gli altri passeggeri che avessero voluto girare lo sguardo verso di loro”. Nel suo blog McCabe ha raccontato di “aver provato una forte rabbia. Avrei voluto alzarmi e chiedergli perché lo stavano facendo e se si rendevano conto che stavano potenzialmente danneggiando il loro cliente”. Non pago di questa esperienza, McCabe ha provato a fare un esperimento: ha provato a seguire alcuni avvocati sui treni, sugli ascensori, nei bar e anche nei ristoranti, per verificare se questa tendenza a parlare in pubblico di questioni di lavoro riservate fosse così diffusa. Il test ha avuto, purtroppo, esito positivo.
“Mai come negli ultimi 10 anni – ha denunciato McCabe – ho visto così tante potenziali violazioni alla riservatezza dovuta ai clienti. Di sicuro una grande resposabilità ce l’hanno gli strumenti tecnologici, costantemente in aumento, che ormai tutti noi consideriamo come parte integrante della nostra vita, dimenticandoci quasi dei loro rischi”.
Agli avvocati è vietato rivelare informazioni sul suo cliente a meno che questo non sottoscriva un consenso informato che autorizza esplicitamente la divulgazione. Inoltre ogni legale dovrebbe fare tutti gli sforzi possibili per impedire la divulgazione accidentale o l’accesso non autorizzato alle informazioni relative ai propri assistiti. “Le chiacchiere a cui ho assistito – continua l’esperto – sono perciò una vera violazione delle regole etiche che regolano la professione. Inoltre il rischio delle chiacchiere accidentali è che non si può mai sapere chi sta ascoltando le nostre parole e che cosa potrebbe fare con quelle informazioni di cui è accidentalmente venuto in possesso.”.
In un’epoca così tecnologica diventa perciò sempre più difficile per i general counsel essere sicuri che il proprio consulente esterno stia maneggiando i dati aziendali con la dovuta cura. “Ogni legale in house – consiglia McCane – dovrebbe perciò ricordare al proprio consulente che i documenti che gli fornirà devono essere visti solo dai suoi occhi e uditi solo dalle sue orecchie. Un’accortezza in più può essere quella di chiarire al momento dell’ingaggio – magari con una clausala contrattuale – che le informazioni sono strettamente confidenziali e non devono essere comunicate a terzi nemmeno in modo accidentale”.