Nel legale cresce la diversità, ma non ai vertici

Nell’anno che si è appena concluso, oltre alla pandemia, nel mondo legale hanno prevalso anche tematiche come diversità, equità, inclusione, a diverse latitudini e geografie. Se in America ha preso piede la campagna legata all’etnia sull’onda delle proteste di Black Lives Matter, in Europa il tema riguarda soprattutto la parità di genere e l’inclusione delle minoranze, come quella Lgbtq+. Nonostante gli sforzi, però, il settore legale non registra notevoli miglioramenti, anzi.

A dirlo è l’ultimo Inclusion Index della Minority Corporate Counsel Association (Mcca) e Russell Reynolds Associates (Rra) che si è focalizzato su come gli avvocati e i giuristi d’impresa si stanno adattando a un ambiente lavorativo in continua evoluzione – da qui anche il nome dell’edizione dello studio «Leading through crisis» – in cui le consuete modalità di gestione dei dipendenti sono cambiate radicalmente. Gli oltre 300 intervistati, provenienti da grandi studi e multinazionali, sostengono che nelle loro organizzazioni ci sono stati svariati cambiamenti culturali, ma – si legge – «si fa ancora fatica a implementare e migliorare la diversità e l’inclusione nella leadership».

Un passo indietro

I rispondenti hanno infatti classificato le loro organizzazioni con un punteggio più basso rispetto a quello di due anni fa (l’ultimo Inclusion Index era del 2018, ndr), facendo scivolare il settore legale al di sotto della soglia minima della performance di diversità e inclusione rispetto al benchmark di riferimento. Gli intervistati hanno dovuto valutare diversi fattori su una scala da uno a cinque. Questi comprendevano lavorare sulle differenze, sfruttare diverse prospettive, il rispetto sul posto di lavoro, voce e influenza, reclutamento, sviluppo e fidelizzazione dei dipendenti, correttezza organizzativa e leadership. La somma ci consegna una fotografia non troppo incoraggiante.

Andando nello specifico, gli studi e i dipartimenti legali vedono tutti i punteggi di queste voci minori rispetto al benchmark dei servizi professionali di riferimento (elaborato dalla società di consulenza Russell Reynolds Associates). Saltano all’occhio il 3,82 (rispetto al benchmark 4,22) della voce ‘rispetto sul posto di lavoro’, il 3,56 (rispetto alla soglia 4,10) per quanto riguarda il ‘lavorare sulle differenze’ e il 3,02 rispetto al 3,40 a proposito della voce e dell’influenza delle minoranze nell’organizzazione. Ciò indica che gli avvocati che appartengono a varie minoranze non sentono di poter essere sé stessi al lavoro e che la loro voce non viene ascoltata nella loro organizzazione.

Il report evidenzia inoltre che anche le donne insieme alle altre minoranze sono sottorappresentate nelle posizioni di leadership. Più nello specifico, le donne hanno meno probabilità degli uomini di vedere la propria organizzazione come accogliente e hanno dato alle loro organizzazioni valutazioni inferiori su tutti i criteri di inclusione. Non solo, le valutazioni dell’indice di inclusione tendono ad aumentare con il livello di anzianità. Le posizioni senior tendevano a dare alla loro organizzazione valutazioni superiori a 3,5, mentre quelli in posizioni non manageriali per lo più davano valutazioni inferiori a 3,5. In altre parole, se vengono migliorate le pratiche di recruitment, non è lo stesso per quelle di promozione quando si parla di diversity e inclusion.

Un risultato che, fra l’altro, è in linea con quello di un altro studio pubblicato negli ultimi mesi del 2020. Si tratta dell’Aspiring general counsel report di Barker Gilmore che vedeva quasi il 70% degli aspiranti Gc, che hanno preso parte al sondaggio, identificarsi come bianchi, rispetto al 10% che si è identificato come nero. Come se una minoranza si sentisse in difetto ad ambire ad una posizione apicale. Sulla parità di genere, la forbice è più ristretta, ma comunque pronunciata: il 54% degli uomini vorrebbe diventare Gc rispetto al 46% delle donne.

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Gennaro Di Vittorio

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