Meritocrazia a lavoro? In Italia c’è ancora da lavorare

Secondo il meritometro, l’indicatore di sintesi dello “stato del merito” in un Paese elaborato da Copernico, l’Italia ha un gap in termini di meritocrazia che la separa dal resto d’Europa.

Per il terzo anno consecutivo il Bel Paese occupa l’ultima posizione nel ranking europeo della meritocrazia (23,15 punti con 44 punti di distacco dalla Finlandia prima in classifica e 10 punti dalla Spagna penultima), con le maggiori differenze rispetto alla media che si registrano nei pilastri della trasparenza, delle regole e delle pari opportunità. Le regioni più meritocratiche sono quelle scandinave e del Nord Europa, che distanziano di 20 punti i Paesi del mediterraneo.

Ma come si può invertire la rotta italiana? «Le aziende che vogliono restare competitive devono creare contesti in grado di valorizzare le persone e di enfatizzare le loro capacità anche creative. Una scelta che può concretizzarsi non solo attraverso programmi di welfare aziendale, ma anche con la creazione di contesti di lavoro capaci di creare un ecosistema virtuoso», dichiara Barbara Adami Lami, direttore generale di Copernico.

Secondo l’osservatorio, oltre a valorizzare le persone, le aziende possono dare il buon esempio, partendo dal board, con l’attuazione di processi per riconoscere il merito e premiare i più meritevoli. Fondamentale è essere consapevoli che non esiste un sistema di valutazione perfetto, né tantomeno un unico sistema di valutazione “one fits all” che vada bene per qualsiasi realtà: organizzazioni differenti necessitano di approcci differenti e anche all’interno di una stessa azienda particolarmente strutturata non è detto che seguire un approccio univoco sia la soluzione migliore.

Forse anche per questo, in Italia ben il 62% delle società non ha formalizzato un processo di selezione dei propri membri del cda, anche se l’84% ritiene importante che vi sia un processo di selezione legato al merito. Inoltre solo in 1 cda su 2 vi è un’autovalutazione del proprio operato, e del 44% che non effettua un’autovalutazione, il 39% non la ritiene necessaria.

Gennaro Di Vittorio

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