LMC Survey 2023: ecco quanto sono mature le direzioni legali italiane
Chi si muove nel mercato legale se ne è accorto da un po’: il ruolo del general counsel all’interno dell’azienda ha ormai scavalcato i limiti della sola consulenza giuridica. I giuristi d’impresa, oggi, non sono più solo giuristi esperti di diritto, ma si inseriscono senza esitazione fra le fila delle più alte funzioni del management, diventando partner aziendali e creatori di valore strategico.
Per dirla con le parole di Alessandro Del Bono (in foto), Head of Legal Management Consulting (LMC) di Deloitte Legal, “siamo ormai giunti nella terza era dei dipartimenti legali: la prima era quella dei risk mitigator, poi è venuto il tempo dei business partner e ora ai dipartimenti legali è richiesto di diventare value creator”, ovvero sia di “fare di più con meno: meno avvocati nei team, meno budget, meno possibilità di ricorrere a consulenze esterne, ma al tempo stesso più lavoro, maggiore regolamentazione, più complessità”.
Il Legal Management Consulting è il servizio offerto da Deloitte Legal che si occupa proprio di supportare le direzioni legali nell’affrontare queste nuove sfide, partendo da una analisi profonda del dipartimento e con l’obiettivo di rendere più efficienti le attività e i processi.
Certo, riuscire a fare di più con meno non è cosa semplice. Per entrare ufficialmente nella terza era dei dipartimenti legali è necessario rimboccarsi le maniche e partire innanzitutto da una riorganizzazione del proprio modello operativo. È da queste considerazioni che Alessandro Del Bono è partito per costruire il Legal Management Survey arrivato quest’anno alla sua terza edizione. L’obiettivo, ancora una volta, è quello di raccogliere l’esperienza, l’attività e le aspirazioni dei general counsel, dei chief legal officer e legal counsel italiani e capire, al contempo, in quale direzione si sta muovendo la professione legale e come si sta trasformando in un contesto geopolitico, economico e sociale tutt’altro che roseo.
I risultati del sondaggio, presentati in occasione della tavola rotonda intitolata “La nuova era del General Counsel: Time To Build 2023” tenutasi durante il Forum Legal Next 2023 di Deloitte Legal lo scorso 8 giugno, hanno restituito una fotografia del livello di maturità delle direzioni legali italiane.
Il sondaggio si focalizza su specifici punti chiave relativi all’attività dei chief legal officer. La Strategia Legale, per esempio, che riguarda la misura in cui la costruzione ed il rafforzamento della funzione legale si combina con le capacità manageriali, tecnologiche e di project management del general counsel. Dati alla mano, oltre l’84% degli intervistati dichiara di avere una strategia legale, a volte documentata e approvata dall’alta dirigenza (nel 46% dei casi) e quasi sempre parte di un più ampio progetto aziendale (70%).
Altro punto chiave si lega invece agli indicatori di performance utilizzati dalle direzioni legali per misurare il proprio apporto di valore all’interno dell’organizzazione. Sono i cosiddetti Key Performance Indicators, o KPI. Dalla survey emerge che solo 1 intervistato su 4 ha strutturato un sistema di KPI per misurare il valore prodotto dall’ufficio legale, anche se l’80% di quanti hanno implementato un sistema di KPI ritiene che l’adozione dello stesso abbia comportato benefici per l’azienda, soprattutto in termini di definizione strategica delle priorità (80%) e aumento dell’efficienza (70%). C’è poi la Strategia di Sourcing, e cioè quella che porta il general counsel a decidere quali compiti svolgere internamente e quali appaltare a consulenti esterni, siano questi avvocati, studi legali o fornitori alternativi di servizi legali. In particolare, dalla survey è emerso che ci sono varie attività che vengono svolte perlopiù internamente al dipartimento legale: le più evidenti sono la contrattualistica (83%), le attività di diritto commerciale e societario (73%) e la compliance (65%). Le attività legate al diritto penale e al diritto amministrativo, invece, vengono svolte in outsourcing rispettivamente nella misura del 75% e del 63%. Il ricorso agli ALSP (Alternative Legal Services Provider) è ancora molto basso tranne per il settore della Cybersecurity, dove si tocca la punta del 20%.
Ma il sondaggio si concentra anche sull’uso della tecnologia e della digitalizzazione all’interno del dipartimento legale – punto che al giorno d’oggi, data la velocità rapidissima con cui ci vediamo, non poteva proprio mancare. Secondo i risultati emersi, molti intervistati utilizzano ancora la tecnologia per attività strumentali, come la firma digitale, citata dal 79% dei rispondenti, la fatturazione elettronica (41%) e l’archiviazione, mentre restano indietro le tecnologie legate alle attività legali pure, come l’indirizzamento delle richieste (c.d. triage), che interessa solo 10% degli intervistati, o le risposte automatizzate (chatbot) utilizzate solo dal 5% dei rispondenti.
Non tutti i dipartimenti legali hanno avviato la trasformazione che li accompagnerà in questa terza era sempre più manifesta. Chi lo ha fatto, tuttavia, ha deciso di intervenire innanzitutto sulle seguenti macroaree:
- Superare la mentalità conservatrice e guardare oltre i modelli esistenti;
- Diventare agili, per consentire al dipartimento legale di diventare anticipatore, più proattivo e più innovativo;
- Creare partnership commerciali integrate tra i vari dipartimenti;
- Investire in soluzioni tecnologiche per ottimizzare l’attività, aumentare l’efficienza e diminuire i costi.