LinkedIn Recruiter Sentiment Italia 2019: Assunzioni in crescita
Il 50% dei recruiter italiani sottolinea un aumento di assunzioni in Italia durante l’ultimo anno, il 40% considera il nostro mercato del lavoro stabile, e solo il 10% dei rispondenti ha sottolineato una decrescita del mercato del lavoro in Italia.
È quanto emerge dai dati del Recruiter Sentiment Italia 2019 di LinkedIn, una ricerca che delinea le principali tendenze del mercato del lavoro e il livello di fiducia dei recruiter nella selezione dei profili più idonei per le posizioni professionali disponibili nel nostro Paese. La ricerca, a cura della società Coleman Parkes, è stata svolta su un campione di oltre 300 responsabili delle risorse umane in aziende e agenzie di lavoro provenienti da diverse parti d’Italia e attivi in otto settori industriali.
Più nello specifico, per coloro che hanno notato un aumento delle assunzioni dall’inizio del 2018, il 37% ha visto un aumento dell’1-10%, il 25% un aumento dell’11-20% (con una crescita media complessiva dei posti di lavoro pari al 22%).
Per i responsabili hr italiani, i principali motivi per i quali si è assistito a un aumento dei tassi di assunzione sono stati legati a una crescita generale del business in Italia (57%), la disponibilità sul mercato di candidati con il giusto livello di competenze (48%) e le necessità specifiche dei singoli settori industriali (39%), e una effettiva maggiore disponibilità di posti di lavoro non ancora ricoperti negli anni precedenti (35%). D’altro canto, dall’inizio del 2018, il 52% degli hr intervistati hanno percepito una quantità maggiore di aspiranti lavoratori rispetto ai posti di lavoro effettivamente disponibili.
Per il residuo 10% dei recruiter che, invece, hanno notato una diminuzione dei tassi di assunzione dall’inizio del 2018, i principali motivi erano: mancanza di talenti disponibili sul mercato e adeguatamente preparati (40%), rallentamento della crescita del business (37%), assenza di strumenti e processi di selezione adeguati (30%) e processi di selezione troppo lunghi e complessi (30%).
Nonostante ciò in linea generale, il 58% dei professionisti italiani del settore hr si sentono molto o estremamente fiduciosi nella propria capacità di reclutare i candidati più idonei per i propri clienti o la propria azienda.
Per quanto riguarda i settori industriali, la ricerca di LinkedIn ribadisce la tradizione artigianale e manifatturiera dell’Italia, infatti, è proprio il manifatturiero a far registrare il più alto tasso di assunzioni (con il 49% delle risposte) secondo l’opinione dei recruiter italiani; seguito dal settore tecnologico legato alla produzione di software con il 45%, poi sempre il Tech ma relativo ai servizi (44%) e il food & beverage con il 37% delle preferenze.
I settori nei quali i professionisti del lavoro hanno trovato maggiore difficoltà a trovare i giusti candidati, durante il 2018, sono stati il finance & banking (32%), l’IT legato alla produzione di hardware (30%), l’istruzione (29%), media e comunicazione (29%) e la sanità (29%).
Per quanto concerne i livelli professionali, nell’ultimo anno in Italia la maggior parte di disponibilità sul mercato sono relative alle posizioni di stage e apprendistato (47%), seguiti dai profili entry level (46%), junior manager (43%) e middle management (39%).
Ma, nonostante una crescita del mercato e dei posti di lavoro disponibili, i lavoratori italiani denunciano ancora diverse carenze in termini di soft skill e digital skill, competenze sempre più fondamentali per trovare lavoro e crescere professionalmente in un mondo sempre più fluido e dinamico, connesso e legato all’evoluzione delle tecnologie e delle intelligenze artificiali. Le regioni italiane dove si registra maggiore richiesta di candidati con adeguate competenze digitali sono la Lombardia (51%), il Lazio (30%) e l’Emilia Romagna (25%).
La ricerca Recruiter Sentiment di LinkedIn conferma ancora di più queste considerazioni. Infatti, secondo i responsabili HR italiani tra le competenze professionali fondamentali oggi per entrare e crescere nel mercato del lavoro vi sono: le competenze in ambito tecnologico e di coding (15%), la capacità di gestire in maniera adeguata le funzioni del pacchetto Microsoft Office (14%), le competenze nell’ambito dei social media (12%), il web design (11%) e l’analisi dei dati (data analytics) al 10%.
E i settori industriali nei quali queste competenze risultano ancora più importanti sono il finance (93%), l’amministrazione (90%), il settore travel (85%) e la sanità (83%).
Pensando all’odierna forza lavoro disponibile in Italia, i recruiter italiani affermano che le competenze che mancano maggiormente ai professionisti italiani sono proprio le competenze in ambito tecnologico e di coding (36%), le capacità di problem solving (31%), la creatività (30%), l’abilità di gestire i tempi di lavoro in maniera corretta (28%), le competenze nell’ambito del web design (28%), la capacità di collaborazione (27%) e il senso di leadership (26%).
A carattere generale, il 40% dei recruiter italiani pensa che non vi siano abbastanza candidati con le giuste competenze digitali rispetto ai posti di lavoro disponibili. E nello specifico, per quanto riguarda le digital skill, il 45% dei responsabili HR italiani dichiara che vi siano più candidati uomini dotati di competenze digitali rispetto alle donne (contro appena il 25% che al contrario pensa che vi siano più donne “digitalmente preparate”).
In ultima analisi, ai responsabili HR italiani è stato chiesto di indicare quali siano le principali barriere quando si tratta di costruire team di lavoro o assumere singoli talenti dotati di competenze digitali. A tal proposito gli intervistati hanno indicato come maggiore difficoltà il trovare il corretto equilibrio tra l’esperienza richiesta dalle aziende e lo stipendio desiderato dai candidati (49%); dato seguito dallo squilibrio esistente tra la velocità alla quale si muove oggi l’innovazione tecnologica rispetto al reale livello di preparazione dei candidati (43%); seguito in terza battuta dall’impossibilità di trovare candidati con le giuste competenze giuste (41%); e, in ultima istanza, la difficoltà a formare gli attuali candidati per le nuove competenze richieste dal mercato del lavoro (38%).