Legal tech: i dipartimenti legali sono in estremo ritardo

Secondo la LMC Survey di Deloitte Legal, solo il 28% delle attività quotidiane legali ha un’impronta strategica e di innovazione

di michela cannovale

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Fino ad oggi, l’innovazione e la tecnologia hanno raggiunto solo parzialmente le aree aziendali di nicchia come quella legale. Certo, difficilmente potrebbe essere altrimenti. «La diffusione di strumenti a portata di tutti – e la conseguente trasformazione digitale del contesto esterno e interno – spinge anche i corporate legal office, in un modo o nell’altro, a ripensare ai propri processi in ottica informatica». Ne è convinta Patrizia Pasetti, che dal 2019 è responsabile governance e innovazione digitale della direzione legale e fiscale di TIM. Nella sua squadra, coordinata dal general counsel Agostino Nuzzolo, si dedica all’analisi e alla semplificazione dei processi attraverso l’adozione della tecnologia – intelligenza artificiale inclusa – e alla gestione di progetti complessi e interfunzionali. Obiettivo del suo lavoro: il miglioramento della performance legale, commerciale e finanziaria dell’azienda.

A MAG ha spiegato: «L’introduzione di software che razionalizzano l’attività genera nel dipartimento legale un circolo virtuoso: da un lato, permette al team di concentrarsi su attività a valore aggiunto (quindi a maggiore protezione dai rischi per l’azienda); dall’altro, consente di accorciare sensibilmente i tempi di lavorazione per relazionarsi con le funzioni di business con un ruolo diverso: creatore di valore e non più censore».

Immettere questi strumenti nel team è quasi più difficile a dirsi che a farsi: «Si inizia dall’introduzione di software su cui si vanno ad aggiungere livelli sempre più sofisticati di tecnologia man mano che la consapevolezza dei vantaggi derivanti da tali innovazioni supera la diffidenza e il tempo da dedicare all’apprendimento. Questo permette di ripensare l’organizzazione del lavoro e di far emergere nuove competenze, così come un nuovo linguaggio e maggiore vicinanza al business».

Come darle torto: l’adozione della tecnologia nei dipartimenti legali è diventata un imperativo per affrontare la crescente complessità delle attività delle direzioni legali e per aumentarne l’efficienza operativa. Eppure, ad oggi, secondo la Legal Management Consulting (LMC) Survey 2024 di Deloitte Legal di cui abbiamo parlato anche in questo articolo, solo il 28% delle attività quotidiane legali ha un’impronta strategica e di innovazione. Il 72% del tempo del general counsel è invece ancora dedicato alle funzioni legali tradizionali. Il che dimostra, come confermato da Pasetti, che esiste ancora diffidenza nei confronti di un risoluto impiego delle nuove tecnologie all’interno dei dipartimenti giuridici.

Per Elena Armini, senior LMC specialist di Deloitte Legal, «assistiamo oggi a una fortissima tensione verso l’innovazione: gli uffici in house sono consapevoli che il cambiamento non è più un’opzione e che per rimanere competitivi è necessario riformare il modo in cui svolgiamo la nostra professione. Tuttavia, non sempre questo slancio riesce a trasformarsi in attività concreta. I nostri dati ci dicono che i dipartimenti legali utilizzano la tecnologia principalmente per attività strumentali e che, in effetti, il tempo che un general counsel dedica al pensiero strategico e innovativo non supera il 28% della propria giornata lavorativa. Il resto del tempo è invece impiegato in attività routinarie».

Come emerge dalla survey, a dimostrazione che la macchina legale ha comunque cominciato a muoversi verso una trasformazione, il 59% dei giuristi dichiara che all’interno della propria azienda viene promossa la diffusione di competenze non strettamente legali (come il project management o la legal technology). Al contempo, però, il 35% afferma di non averlo ancora fatto nonostante ritenga che possa essere una leva di miglioramento importante.

Le tecnologie trovano grande attuazione perlopiù in strumenti come la firma digitale (citata dal 70% degli intervistati), cui seguono i tool di archiviazione (46% degli intervistati) e l’e-billing (44%). I chatbot e gli strumenti di knowledge management, invece, sono utilizzati solo dal 9% dei legali. E anche quando l’innovazione riesce a entrare nel dipartimento legale, si tende a preferire soluzioni sviluppate internamente dalle aziende, in particolar modo quando si tratta di automazione di contratti e gestione della segreteria societaria (usate dal 67% degli intervistati) e di strumenti per le risposte automatizzate e l’automazione dei documenti (menzionate rispettivamente dal 60% e dal 55% degli intervistati).

Diversi i motivi di questo ritardo innovativo, secondo Alessandro Del Bono, head of legal management consulting (LMC) di Deloitte Legal che ha coordinato i lavori della survey: «Tra i principali troviamo: budget assente o non adeguato, difficoltà ad innovare mantenendosi operativi, oltre all’evidente complessità di dimostrare al management un ritorno sull’investimento. Per questo è essenziale lavorare sui kpi e dimostrare, numericamente, con il linguaggio del business, l’enorme valore apportato dal dipartimento legale all’intera struttura aziendale».

Un punto di vista condiviso anche da Patrizia Pasetti, che a questo proposito ha aggiunto: «Molte direzioni legali hanno compreso che per fare innovazione devono avere un budget, ma anche che questo non è sufficiente. La spesa deve comunque essere motivata da un solido business plan in cui siano evidenziate le criticità che un software può risolvere così come i risparmi in termini di risorse economiche (come ad esempio sanzioni, penali e contenziosi) e di personale. Se poi non vi è una costante attenzione e manutenzione, il software installato di per sé non porta ai risultati attesi: serve un processo interno di formazione, di condivisione e di costante adeguamento. Per questo, tra l’altro, esistono nuove figure all’interno delle funzioni legali, come il legal operation manager, che hanno il compito di occuparsi (anche) dell’innovazione».

Quello della formazione è un aspetto su cui ha insistito anche Elena Armini: «È necessario che i dipartimenti legali investano nella formazione continua dei loro team per garantire che comprendano e possano sfruttare efficacemente le soluzioni implementate. In questo senso, noi consigliamo sempre di iniziare dai processi per capire la necessità e, solo dopo, di valutarne l’automazione. A nessuno serve un software che risolva un problema che non c’è o un software che nessuno usa». Anche perché, se è vero, come mette in luce la survey di Deloitte Legal, che non esistono soluzioni tecnologiche legali pronte all’uso immediato e il successo nell’adozione di nuovi sistemi tecnologici richiede la capacità di superare la frustrazione iniziale tipica di ogni novità, diventa allora cruciale allocare un periodo di transizione per integrare tali tecnologie nella routine lavorativa quotidiana. «Ogni soluzione oggi in commercio – ha affermato Del Bono – deve poi essere tailorizzata in base alle esigenze del dipartimento legale in questione. In questo senso, […]

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michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

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