Lavoro agile: quasi il 37% delle pmi lo permette, ma solo il 19% al Sud
Anche le pmi hanno accolto con favore l’avvento dello smart-working? A giudicare dai dati pubblicati dall’osservatorio Market Watch PMI di Banca Ifis, l’unica risposta corretta sembra essere un “sì, ma”.
In generale, infatti, è considerevolmente aumentato il ricorso al lavoro agile anche nelle piccole e medie imprese italiane: prima del lockdown appena il 4,6% delle aziende con meno di 250 dipendenti consentiva il lavoro da remoto, mentre oggi la percentuale arriva quasi al 37%. Percentuale che nel Nord-ovest sale al 48,9%. E addirittura al 73,6% se restringiamo il campo alle pmi con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 250.
Questo perchè, secondo quanto comunica Ifis, le policy di lavoro da remoto sono state attivate con più facilità dalle realtà grandi e strutturate: nelle pmi con meno di 20 dipendenti, ad esempio, solo il 27,9% ricorre allo smart working. Se invece prendiamo in considerazione il solo Sud Italia e le isole, vediamo che solo il 19% delle aziende con meno di 250 dipendenti ha implementato un sistema di smart-working.
Si registra, in ogni caso, nelle pmi, una certa voglia di ritorno alla normalità. Sebbene, infatti, il 62% di queste garantirà ai dipendenti la possibilità di lavorare da remoto, il 45% si dice intenzionato a limitarne la frequenza. Il perchè è presto detto: nel 28% dei casi, all’introduzione dello smart working si fa corrispondere una diminuzione della coesione del gruppo di lavoro. Il 91% delle pmi prese in considerazione da Ifis non esita a definire ancora come centrale il ruolo dell’ufficio.