Laura Tricomi di Isagro: “La porta del legale in house deve essere sempre aperta”

Nascere entusiasti è un pregio ma per essere un bravo in house serve pazienza e tanta esperienza. Lo sa bene Laura Tricomi (nella foto), 35 anni, lunghi capelli biondi e occhi verdi che tradiscono la passione di chi ama il proprio lavoro e non si tira indietro di fronte alle sfide. “Quando ho iniziato a fare l’avvocato mi appassionavo di tutto. Avrei voluto seguire tutte le operazioni, essere sempre in prima linea. Poi l’esperienza mi ha insegnato che ogni decisione va soppesata con attenzione e che le competenze si costruiscono piano piano, giorno dopo giorno”. L’avvocato, prima di arrivare nel team legale di Isagro, ha lavorato in grandi studi internazionali come DLA Piper, Norton Rose e Allen & Overy. “Lì ho imparato tantissimo. Ho lavorato con grandi professionisti, a cui devo molto, ma mi sono anche resa conto che dentro di me c’era una forte spinta all’autonomia. Avevo voglia di organizzare da me il mio lavoro e la mia carriera” ricorda Tricomi.

Com’è nata la sua passione per il lavoro in house?

Nel 2010 feci un’esperienza come external legal advisor in Corio Italia (ora Klepierre), una società operante nel settore real estate che sviluppa, possiede e gestisce gallerie commerciali, e ne rimasi affascinata. Mi piacque soprattutto il fatto che, a differenza che nel lavoro di studio, lì ci si occupava di molti più temi e si lavorava in team.

Perché un avvocato così giovane sceglie di diventare un legale d’impresa?

Perché il lavoro in house è molto cambiato negli ultimi anni. Non è più il cosiddetto “piano B”. Oggi le aziende cercano i migliori avvocati per la funzione interna. Professionisti che provengono da studi internazionali, preparati e capaci di gestire sempre più problemi dall’interno. Tutto ciò ha reso il lavoro in house, in molti casi, tanto complesso e difficile quanto quello di studio.

Qual è secondo lei l’aspetto più difficile di questa professione?

All’inizio del mio lavoro in Isagro, la cosa che mi ha messa più alla prova è stato il fatto di dovermi relazionare con non avvocati. Negli studi da cui provenivo questo succede con meno frequenza. Mentre in azienda l’in house counsel lavora a stretto contatto con altri professionisti, tecnici, finanziari o commerciali, che spesso non parlano la sua lingua.

E il fatto di essere una giovane donna le ha creato qualche problema?

Non veri problemi ma qualche diffidenza iniziale. Diciamo che ho dovuto lavorare per guadagnarmi la fiducia dei colleghi e soprattutto per creare una relazione stabile tra le varie funzioni aziendali e quella legale.

Che cosa intende?

Mi riferisco al fatto che spesso chi lavora in azienda ha ritmi molto serrati che sono quelli del business. Bisogna sbrigarsi e non perdere tempo con inutili indecisioni, pena il rischio di perdere un cliente o una commessa importante. Il mio compito è comunque quello di valutare con attenzione i rischi di ogni decisione e di ogni singolo documento che viene firmato. Con il tempo però ci siamo “educati a vicenda”. I miei colleghi hanno imparato la necessità di fermarsi qualche minuto in più prima di prendere una decisione, e io ho cercato di essere sempre più in sintonia con le loro necessità di business.

Quanto conta per un in house la disposizione a conoscere fino in fondo gli aspetti, anche più tecnici, del business aziendale?

Conta tantissimo. Bisogna ammettere, con umiltà, le cose che non si conoscono e rivolgersi agli altri dipendenti, esperti di quel settore, per farsele spiegare. Questo è, tra l’altro, anche il modo migliore per guadagnarsi la fiducia delle persone. Soprattutto di chi, fino a poco prima, vedeva l’avvocato come qualcuno che “fa perdere tempo” o quanto meno che rallenta la conclusione degli accordi.

Oltre all’umiltà cosa serve in azienda?

Serve la disponibilità al confronto, la capacità di ascolto, la presenza costante, il sorriso e la porta del proprio ufficio sempre aperta così da incentivare tutti a cercare un confronto con la funzione legale in presenza del minimo dubbio.

Come sono cambiati i suoi ritmi di vita da quando lavora in azienda?

Se si riferisce al pregiudizio secondo cui in azienda i ritmi sarebbero più rilassati e la mole di lavoro inferiore, posso assicurare che non è così. I tempi di lavoro sono serratissimi e il fatto di seguire l’azienda a 360 gradi implica che bisogna essere sempre preparati su tutte le materie. Questo si traduce spesso in lavoro extra nel week end e in nottate al lavoro nei periodi più intensi. La differenza con il lavoro di studio è che in azienda si hanno, comunque, orari più stabili e la possibilità di organizzare il proprio lavoro in maniera più efficiente.

C’è qualcosa che le manca del lavoro di studio?

Fino a qualche tempo fa avrei detto la visibilità che ti dà lavorare in un grande studio internazionale. Oggi invece vedo che qualcosa si sta muovendo anche nel nostro settore.

Secondo lei la funzione legale in house potrebbe, potenzialmente, occuparsi di tutto, senza ricorrere mai a dei consulenti esterni?

No. Oggi c’è una tale specializzazione che nessuno può pensare di sapere tutto di ogni argomento giuridico. Improvvisarsi esperti in materie che non si conoscono alla perfezione può esporre l’azienda, e anche se stessi, a grandi rischi. È compito dell’in house infatti anche quello di capire che cosa può essere risolto internamente e che cosa invece va affidato ai consulenti esterni.

In che cosa sono penalizzati secondo lei gli in house italiani rispetto a quelli stranieri dal punto di vista dell’inquadramento professionale?

La cosa più penalizzante è la perdita del legal priviledge perché è uno strumento che serve a tutelare l’azienda e il suo business. Il fatto che il parere di un in house non sia coperto da riservatezza, implica che per molte cose, anche superflue, si sia costretti a rivolgersi ai consulenti esterni. Niente di male ovviamente, solo che l’azienda ha tempi molto stringenti e non sempre si possono aspettare le tempistiche più lunghe impiegate dai consulenti esterni (dedicate ovviamente ad un maggiore approfondimento), rischiando intanto di perdere la vendita.

Studi legali esterni: sempre gli stessi o meglio cambiare?

Dipende. Io però penso che, ogni tanto, gli studi vadano messi in competizione tra loro. Solo così si ottengono le offerte più vantaggiose e si spingono i consulenti a non “adagiarsi” mai. Inoltre bisogna tenere conto sia della maggior complessità delle tematiche da approfondire, per le quali ci si deve per forza affidare a studi diversi, sia del fatto che negli ultimi anni ci sono stati molti cambiamenti negli organici dei più importanti studi legali. Questo significa che quello studio che era di qualità in una o più practice fino a qualche anno fa, oggi potrebbe non esserlo più perché ha perso i suoi legali migliori che si sono spostati altrove.

 

 

Gennaro Di Vittorio

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