Laura Segni: «Ddl Capitali? La direzione è quella giusta»
La general counsel di Banca IMI commenta insieme a MAG il decreto approvato dal Senato il 27 febbraio. «L’idea è di avvicinarci ai meccanismi dei paesi anglosassoni in cui, tra mercato e industrie di diverso tipo, esiste da tempo un rapporto amichevole»
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«La norma produce sicuramente dei vantaggi. Pur senza determinare delle modifiche altamente trasformative, mette in atto una serie di aggiustamenti che vanno nella giusta direzione, delineando un quadro più semplice di possibilità di quotazione per le aziende». Laura Segni, general counsel di IMI Corporate & Investment Banking, interpellata da MAG, commenta così il Ddl Capitali approvato dal Senato lo scorso 27 febbraio. Obiettivo primario della legge è mettere in moto interventi a sostegno della competitività dei capitali, attirando quelli stranieri in Italia e impedendo al contempo che quelli nostrani si spostino all’estero. Come? In soldoni – perdonate il gioco di parole – facendo sì che le società preferiscano rimanere qui, piuttosto che trasferirsi altrove. Non sorprende: come abbiamo già avuto occasione di approfondire, diverse imprese italiane, nel passato più e meno recente, hanno scelto l’Olanda come destinazione privilegiata per rendere più flessibile la struttura del proprio capitale. Lo hanno fatto realtà come Brembo, come Exor, come Campari, ma anche Cementir, MFE, Ferrari, che nel mercato olandese hanno trovato normative societarie più favorevoli rispetto a quelle italiane.
Il Ddl Capitali punta ora a rimuovere i limiti preesistenti, tanto a livello normativo quanto a livello operativo, focalizzandosi proprio sull’attività di quelle imprese, piccole e medie, che costituiscono il motore dell’economia italiana ed europea.
Per Segni «si tratta di una legge che vuole semplificare i processi di quotazione e favorire la spinta al mercato dei capitali in un Paese che è meno abituato di altri ad utilizzare questo strumento. Nel decreto, non a caso, ritroviamo una serie di norme che hanno lo scopo di mettere l’imprenditore piccolo e medio (ma ormai più medio, perché si parla di un miliardo di capitalizzazione) nelle condizioni di avere voglia di quotarsi perché sa che il processo è meno oneroso che in passato».
Fra le principali novità introdotte dal decreto, infatti, è stata rivista la definizione delle Pmi ai fini della regolamentazione finanziaria, aumentando la soglia di capitalizzazione massima prevista a, appunto, un miliardo di euro. Sono poi state apportate semplificazioni alle procedure di ammissione alla negoziazione, incluso l’eliminazione di alcuni requisiti per la quotazione. In particolare, non sarà più consentito alla Consob di regolare con propri regolamenti i requisiti di alcune società quotate e di sospendere temporaneamente le decisioni di ammissione. L’articolo 10 della legge elimina l’obbligo attuale di segnalare alla Consob le operazioni effettuate dagli azionisti di controllo che detengono almeno il 10% del capitale sociale. Infine, il consiglio di amministrazione uscente avrà la possibilità di presentare una lista di candidati per l’elezione dei nuovi membri del consiglio, a condizione che la lista includa un numero di candidati uguale al numero dei posti da occupare, aumentato di un terzo.
Difficile, al momento, dire se questa legge sia davvero la soluzione alla crisi dei tassi di interesse e all’abbandono del mercato dei capitali verificatisi nel post-pandemia. Alcuni primissimi effetti del decreto, tuttavia, già si percepiscono. «Se la bontà degli articoli dedicati alla composizione del cda è ancora oggetto di osservazioni contrapposte, e comunque potremo verificarli in concreto solo con la formazione dei prossimi consigli, abbiamo già avuto modo di cogliere l’impatto per ciò che riguarda la competitività dei capitali. La prospettiva di abbassamento dei tassi di interesse che si respira sui mercati – e che è data peraltro per assodata nelle proiezioni delle banche centrali – favorisce un interesse verso il mercato dei capitali. Già nei prossimi mesi, con tutta probabilità, gli asset manager cominceranno a modificare i portafogli, da btp a bond a più lunga durata. È una conseguenza naturale dei tassi che si abbassano. Lato obbligazioni, dunque, assisteremo ad una nuova taratura dei portafogli gestiti».
Quello su cui siede Laura Segni, peraltro, è un osservatorio privilegiato: nell’ultimo periodo, la Divisione IMI CIB di Intesa Sanpaolo ha visto la propria attività di assistenza alle quotazioni dell’equity capital markets intensificarsi molto più sul segmento delle Pmi che su quello delle grandi imprese. «Le Pmi rappresentano un mercato più vergine, per il quale c’è ancora tanto da fare e c’è bisogno di aggregazione. Quello che vediamo come banca, infatti, è un aumento delle operazioni di quotazione sul mercato Euronext Growth da parte dei clienti, a riprova del fatto che le imprese hanno bisogno di un passaggio generazionale, di riorganizzarsi e di essere presenti sul mercato in maniera più visibile, tecnica e sistematica rispetto al passato».
Secondo la general counsel, nessuna delle modifiche introdotte dalla legge, presa singolarmente, è risolutiva. Tutte insieme, però, rappresentano un primo passo verso la modernizzazione poiché favoriscono i processi di aggregazione di una serie di filiere. «L’Italia è per eccellenza il paese delle Pmi. Difficilmente, viste le dimensioni del nostro sistema economico e territoriale, diventeremo la nazione dei colossi multinazionali. E per preservare l’unicità di certe filiere produttive, è necessario aggregarle, altrimenti si rischia da un lato la dispersione, dall’altro l’arrivo dei colossi stranieri».
Per Segni, le norme del Ddl Capitali vanno lette nell’ambito di una politica economica che, seppure in maniera timida, sta cercando di imporsi nel sistema italiano. «Si pensi solo ai provvedimenti che favoriscono il rientro in Italia di attività e filiere produttive con agevolazioni fiscali. L’idea è di riportare sul territorio italiano filiere produttive, il che non significa necessariamente intere aziende o rami d’azienda, ma produttività, e quindi lavoro, e quindi indotto, e quindi, infine, aumento del Pil. E questo è molto importante, visto che il problema principale dell’Italia riguarda la produttività e non, invece, l’expertise. E va fatto perché viviamo in un mondo in cui, quando si è nell’ambito industriale e finanziario, la dimensione conta».
Visto che la dimensione è importante, ne deriva una necessità di scongiurare quanto possibile le differenze di trattamento tra imprese che operano nello stesso territorio – quello europeo in questo caso – avvicinando al mercato un maggior numero di aziende. «Il Ddl Capitali si pone questo duplice obiettivo: facilitare anche alle realtà più piccole l’ingresso nel mercato e, contemporaneamente, consentire agli intermediari finanziari di aiutare queste realtà a quotarsi con più facilità».
L’effetto, si spera, è di condurre il mercato italiano al livello di altri mercati dove le quotazioni sono più numerose e il mercato funziona in maniera più fluida. «L’idea è di avvicinarci ai meccanismi dei paesi anglosassoni in cui, tra mercato e industrie esiste da tempo un rapporto amichevole. Gli italiani, al contrario, sono più abituati a investire in obbligazioni che in azioni. Lo fanno i piccoli investitori, ma lo fanno anche le famiglie». A questo proposito, l’approccio del decreto Capitali potrebbe sottendere anche un tentativo di educazione finanziaria, secondo Segni. «Credo che la volontà della politica, attraverso questa normativa, sia anche quella di modernizzare il Paese nel rapporto con i mercati, che in Italia sono sempre stati considerati qualcosa di estraneo, di lontano, di incomprensibile. Le nuove generazioni, invece, devono abituarsi a pensare in ottica più finanziaria, a costruirsi fin da giovani il fondo pensione, a sviluppare un meccanismo assicurativo, a creare portafogli che consentano loro di accumulare. Non dobbiamo focalizzarci unicamente sul Ddl in sé, ma su una direzione che il Paese sta cercando di imboccare attraverso […]
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