L’altra metà della Repubblica

Adele Bei, Teresa Mattei, Elena Pollastrini, ma anche Maria Federici, Angiola Minella. Sono i nomi di alcune delle 21 donne che parteciparono all’Assemblea costituente del 1946, quella che scrisse la Costituzione italiana. Donne che hanno lasciato il segno nelle istituzioni del nostro Paese ma delle quali tuttavia pochi si ricordano. Come avviene anche per le sindache che vennero elette nelle amministrative 1946.

Il motivo lo ha spiegato Laura Boldrini (nella foto) durante l’inaugurazione, lo scorso 14 luglio, della “Sala delle donne” a Montecitorio. «Le donne nelle istituzioni – ha detto Boldrini – sono entrate nel ’46, ma se oggi chiedi a una ragazza di queste donne probabilmente avrà problemi a fare qualche nome. E questo perché le istituzioni non hanno dato il giusto rilievo a queste donne. A Montecitorio c’è un corridoio con i busti di uomini delle istituzioni, non ce ne sono di donne, non c’è traccia. Così ho pensato che bisognava compensare».

E per compensare Boldrini ha pensato di dedicare loro una sala, o meglio un’anticamera (che poi ci montiamo la testa): l’anticamera della Sala della regina di Montecitorio. Qui sono esposti i ritratti delle 21 costituenti, delle prime dieci sindache elette nel ’46, della prima presidente della Camera, Nilde Iotti, della prima ministra, Tina Anselmi, e delle prima presidente di regione, Anna Nenna D’Antonio.

La quarta parete è invece occupata da alcuni specchi che indicano le cariche istituzionali che le donne non sono ancora riuscite a occupare: presidente della Repubblica, presidente del Senato e presidente del Consiglio. Sotto di loro la scritta: “Potresti essere tu la prima”. «Così – ha spiegato Boldrini – ogni ragazza, specchiandosi, può immaginare la carica alla quale potrebbe ambire: se studiano e si impegnano nulla impedisce loro di arrivare ai vertici delle istituzioni».

La decisione della presidente della Camera, bollata da alcuni illuminati commentatori come “la solita crociata”, è un’azione che punta non solo a creare una cultura nuova che riconosce il lavoro delle donne, ma anche a valorizzare e conservare la storia del nostro Paese. Una storia che merita di essere raccontata per intero. Senza dimenticare, almeno questa volta, l’altra metà delle pagine.

 

 

Gennaro Di Vittorio

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