L’AI si impadronirà della professione legale? È tutto da vedere

La conferenza di apertura della Legalcommunity Week, organizzata con Pwc Tls, ha affrontato la questione tech. Aprendo il dibattito con alcuni dei più autorevoli in house lawyer italiani

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di michela cannovale

Lo scorso 14 giugno il Parlamento europeo ha approvato la bozza di legge riguardante l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei Paesi dell’Unione. L’AI Act – questo il nome del regolamento cui dovrebbe essere dato il via libera entro la fine dell’anno – potrebbe essere un punto di svolta sulla disciplina di questa tecnologia.

Proprio nell’era dell’innovazione robotica, dei social media, di ChatGPT e del dispiegamento di nuovi mondi virtuali, uno dei principi informatori di questo testo mira a garantire che i sistemi di intelligenza artificiale siano “supervisionati da persone”, e non viceversa. Nella bozza vengono, infatti, vietati alcuni usi della tecnologia e banditi i sistemi che potrebbero essere impiegati in modo intrusivo e discriminatorio, con danni sui diritti dei cittadini, la loro salute e la loro sicurezza. Fra le applicazioni che il Parlamento europeo definisce “a rischio inaccettabile” rientrano, per esempio, i sistemi di categorizzazione biometrica che utilizzano caratteristiche sensibili (come il genere, la provenienza geografica, l’orientamento politico o religioso), i sistemi di polizia predittiva (che si basano su profilazione, posizione o precedenti penali), i sistemi di riconoscimento delle emozioni nelle forze dell’ordine, alle frontiere, sul posto di lavoro e nelle scuole e quelli di identificazione biometrica remota in tempo reale ed ex post in spazi pubblici.

L’obiettivo dei legislatori dell’Unione è semplice e sacrosanto: la tecnologia deve continuare a rimanere un mero strumento della società e non, al contrario, diventarne il padrone pericoloso.

L’approvazione della bozza dell’AI Act cade a fagiolo con quanto discusso in occasione della opening conference della Legalcommunity Week, il cui tema era proprio “A different lawyer for a new future: technology and profession on the move”. Alla conferenza ha preso parte un ricco parterre di speakers: Gianpaolo Alessandro, group legal officer e secretary of the board of directors di UniCredit; Andrea Lensi Orlandi, partner di PwC TLS; Andrea Parrella, group general counsel di Leonardo; Francesca Isgrò, partner e head of Public Department di PwC TLS; Giovanni Lombardi, general counsel di Illimity Bank e general manager di Fondazione Illimity; Gabriella Porcelli, general counsel e chief compliance officer di Iveco Group; Agostino Nuzzolo, general counsel, executive vice president legal and tax e secretary to the board of directors di TIM; Laura Segni, general counsel di IMI Corporate & Investment Banking; Giovanni Stefanin, co-managing partner di PwC TLS.

Il dibattito è ruotato attorno a un punto fondamentale: l’impatto che l’intelligenza artificiale ha avuto fino ad oggi sugli studi e sui dipartimenti legali e quali conseguenze potrebbe avere ancora. O meglio: per dirla con Richard Susskind, si è parlato di “futuro della professione” – quella del legale, ça va sans dire – e di come, a causa dell’avanzamento rapidissimo delle tecnologie, questa dovrà modificarsi per sopravvivere. In che modo? Da un lato sfruttando le opportunità derivanti dal machine learning, dall’altro facendo i conti con le minacce che lo stesso machine learning rappresenta per i professionisti del settore.

AI e professione legale: posizioni divergenti

Durante il dibattito sono emerse posizioni divergenti in merito all’impatto verificatosi fino ad oggi sulla professione dell’avvocato in house. Se è vero che la digital transformation è già realtà in molti dipartimenti legali e che l’intelligenza artificiale viene ampiamente utilizzata nel campo della due diligence, delle indagini interne e della due diligence, così come per la gestione della compliance, sono diversi i giuristi che preferiscono adottare un approccio prudente, consapevoli della possibile escalation che potrebbe derivare da un abuso della tecnologia.

È questo il caso del group general counsel di Leonardo, Andrea Parrella, che a MAG ha affermato: «A oggi, pur non essendo in uso veri e propri software di AI all’interno del dipartimento legale di Leonardo, abbiamo la consapevolezza della rilevanza che potrebbe derivarne. Credo che, in prima battuta, questi strumenti andrebbero utilizzati per processi routinari e semplici e non complessi. Poter processare enormi quantità di dati ad elevata velocità certamente darà un contributo per indirizzare al meglio l’intelligenza umana. In ogni caso, a dispetto degli impatti sociali derivanti da un uso “eccessivo” e non regolato delle tecnologie, ritengo che vi sia una sfera di appannaggio esclusivo del manager, non delegabile ad alcun software, ed è la sfera decisionale dove l’AI dovrà, al più, costituire un neutro strumento di supporto».

Tutt’altro approccio, invece, è quello messo in atto da Giovanni Lombardi. Il numero uno della direzione legale di Illimity Bank è convinto «dell’imprescindibilità di una sempre più pervasiva introduzione della digitalizzazione nei processi aziendali interni, non solo della funzione legale, ma di tutte le funzioni del business, secondo un processo di progressiva e inarrestabile ibridazione di competenze e professionalità». Sfruttare le opportunità della opportunità dell’intelligenza artificiale, in sostanza, aiuterà i legali in house ad arricchire le competenze giuridiche con ulteriori capacità di tipo tecnico-informatico.

Ma non solo. La necessità di un cambio di rotta imposta dalle nuove tecnologie avrà delle conseguenze tanto sulle attività giuridiche interne, quanto sul rapporto che si crea nella ricerca di un avvocato esterno. In sostanza, ci saranno effetti sull’intera modalità di ricerca e offerta dei servizi legali. Utilizzando le parole di Lombardi: l’impatto della tecnologia porterà i general counsel a farsi assistere da avvocati che non potranno fare a meno di essere «una combinazione di consulente “smart” (nel senso etimologico del termine, “capace di mordere”) e “artificial” (in grado di mettere insieme processi di digitalizzazione e automazione con le diverse intelligenze artificiali a supporto e ausilio dei clienti)», tanto che «tra consulenti e clienti, almeno per aziende di medio-grandi dimensioni, si potranno avere nuove forme di collaborazione, più vicine alle partnership». Insomma, quando si tratterà di richiedere consulenze esterne relative all’uso dell’intelligenza artificiale per organizzazioni che basano la propria crescita sull’innovazione e la digitalizzazione – come nel caso di Illimity – si punterà sempre più alla ricerca di avvocati che non si limitino semplicemente a fornire un parere tecnico, ma siano in grado di creare con l’ufficio legale interno un rapporto basato sulla fiducia, un rapporto che induca a far proprie l’efficienza e la produttività delle tecnologie e a cavalcare sapientemente l’inarrestabile evoluzione della professione del giurista.

Le soft skills ci salveranno?

Quali saranno invece i risvolti più prettamente sociali derivanti dall’uso dell’intelligenza artificiale? Che cosa farà la differenza nel momento in cui le competenze tecniche dovessero essere sostituite da fantomatici robot?

E non è un caso che si parli di robot. Quando, nel 2018, MAG intervistò Richard Susskind e gli chiese come fosse possibile che un computer potesse un giorno sostituire un avvocato in carne ed ossa, infatti, la risposta fu: «È vero, gli avvocati usano l’empatia e la creatività per risolvere i problemi, ma non è questo che interessa ai clienti. Non dobbiamo cadere in questo errore. A loro interessano i risultati e che questi risultati siano sempre più economici, più convenienti e più veloci rispetto a una volta. E se questi risultati potranno essere dati in modi nuovi, i clienti preferiranno questi all’empatia e alla creatività degli avvocati».

Cinque anni più tardi, non tutti la pensano come Susskind. Sicuramente non Giovanni Stefanin, co-managing partner di PWC TLS, secondo cui saranno proprio l’empatia e la creatività menzionate dal noto professore di Oxford a salvarci dalle provocazioni dell’AI.

«Con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale – le parole di Stefanin – il ruolo del professionista potrebbe essere soggetto ad un cambiamento radicale. Il valore aggiunto nella scelta, infatti, potrebbe essere […]

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michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

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