La fattura della discordia

Richieste poco chiare, incomprensioni caratteriali, tempi di lavoro molto diversi. Sono tanti i motivi che possono provocare un disaccordo tra un dipartimento legale in house e i propri consulenti esterni. Tuttavia vi è una ragione che, più di ogni altra, rischia di mettere davvero in crisi i rapporti tra avvocati d’azienda e consulenti esterni: le fatture. Secondo una ricerca condotta dalla rivista Corporate Counsel, il fenomeno, complice la crisi economica, si è addirittura accentuato.

“Oggi – si legge – gli uffici legali sono sotto pressione perchè il loro commitment è quello di ridurre le spese. Dall’altro lato gli studi legali – ancora provati dalla crisi economica del 2008 e irritati dal fatto che i team in house affidano sempre meno mandati all’esterno – cercando in tutti i modi di non perdere nemmeno un centesimo giocando sulle varie voci di spesa in fase di fatturazione. La situazione è aggravata dalla contabilità elettronica dei servizi legali che permette al cliente di analizzare nel dettaglio tutte le voci di spesa e di accorgersi subito di eventuali rincari o di spese aggiuntive che non erano state previste fin dall’inizio”.

Corporate Counsel ha esaminato le tendenze di questo fenomeno sia negli Stati Uniti che all’estero. “Gli europei sono in prima linea nella fatturazione alternativa e nella ricerca di nuovi modi di fare business”. Ma quello che la ricerca ha evidenziato è che nel Vecchio continente la litigiosità è minore perché prevale l’abitudine di accordarsi preventivamente su fatturazione e metodo di pagamento. “Pago i miei consulenti esterni sulla base di un onorario che viene preventivamente concordato. In questo modo non ci sono incomprensioni e nessuno è scontento”, ha dichiarato Antonino Cusimano, general counsel di Telecom spa. 

Non va così in America dove negli ultimi anni la fatturazione non avviene su base oraria ma secondo liste dettagliate delle singole voci di spesa. Il risultato è che “le fatture sono diventate così puntigliose e lunghe che servirebbe del personale a tempo pieno solo per analizzarle e vedere se tutte le voci sono corrette. Queste infatti non comprendono solo gli onorari dei legali ma anche tutte le spese aggiuntive come quelle per i viaggi in tribunale, quelle per il materiale e così via”. Per rispondere a questo problema alcuni dipartimenti in house si sono dotati, negli ultimi anni, di sistemi informatici che fanno una revisione automatica dei vari costi confrontandoli con le previsioni di spesa iniziali. 

Non tutti i dipartimenti in house sono però nella condizione di dotarsi di simili strumenti. Come rimediare? “La soluzione migliore – scrive Corporate Counsel – è, ancora una volta, impostare fin dall’inizio una buona comunicazione con i propri consulenti esterni”. Ivan Fong, general counsel di 3M, per esempio, ha previsto delle linee guida molto precise per il suo panel di consulenti esterni. “Quando 3M ingaggia uno studio legale come consulente esterno, invia loro una lettera molto dettaglia con specificato cosa sono disposti a pagare e cosa no”. Fog ha dichiarato, ad esempio, che la sua azienda non pagherà per mansioni di segreteria, ore di fatturazione superiori alle 10 al giorno, se non durante un processo, e nemmeno per ricerche giuridiche che non siano state approvate fin dall’inizio. 

Punta sulla chiarezza della comunicazione anche il dipartimento legale di Bristol-Myers capeggiato dall’avvocata Laura Caponi. “Quando uno studio legale inizia a lavorare con noi gli chiediamo di comprendere e condividere le nostre politiche aziendali e tuttavia, come legali interni, cerchiamo di essere sempre vigili su questo aspetto”. Sembra quindi – sottolinea il rapporto – che tutto si riduca a una questione di fiducia. È della stessa idea l’avvocato Cusimano che ha dichiarato: “Noi lavoriamo con pochi studi legali esterni e non li paghiamo a ore perché riteniamo che sia un metodo limitante. Il segreto è avere un panel di studi seri e certificati di cui potersi fidare anche sotto questi aspetti”.

 

Gennaro Di Vittorio

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