Kpmg: i top manager italiani temono il protezionismo, ma sono ottimisti
Le politiche protezioniste sono il grande timore dei top manager italiani, ma, nonostante questo, in molti guardano con ottimismo al futuro più immediato.
È quanto emerge dalla Kpmg Global Ceo Outlook 2019, indagine condotta su 1.300 amministratori delegati, appartenenti a 11 tra le principali economie a livello globale. Nel campione preso in analisi, l’Italia è rappresentata da 50 top manager.
Nonostante uno scenario economico e geopolitico che appare sempre più complesso e volatile, cresce, un po’ a sorpresa, la fiducia degli amministratori delegati italiani sulle prospettive di crescita. Per il 96% di loro, contro il 76% dello scorso anno, l’azienda di cui sono alla guida vedrà una crescita di ricavi nei prossimi tre anni. Questo ottimismo è percepito anche a livello globale, con il 66% dei top manager, pronti a scommettere sulla crescita dell’economia nei prossimi tre anni, opinione sostenuta anche dal 60% degli intervistati italiani.
Sempre a livello globale, le tre principali minacce alla crescita sono ritenute nell’ordine il rischio ambientale connesso con i cambiamenti climatici, l’innovazione tecnologica dirompente e il riemergere dei territorialismi. In particolare, il 45% dei manager italiani – contro il 24% a livello globale – si dimostrano preoccupati dal successo di partiti che promuovono politiche protezionistiche, reputate scarsamente favorevoli al business.
Oltre alla minacce, lo studio ha poi indagato quali strategie sono ritenute migliori per perseguire gli obiettivi di crescita. In generale, molto quotate joint venture e alleanze strategiche (49%), su cui, però, i manager italiani credono meno (40%). Simile, invece, la fiducia di m&a come driver per la crescita, ma con ragioni differenti. Gli amministratori delegati italiani (48%) dichiara di ricorrere a operazioni di m&a con l’obiettivo di acquisire innovazione e nuove tecnologie digitali, oltre che per ottenere sinergie ed economie di scala. I business leader internazionali, invece, pensano alle strategie di m&a più come a un acceleratore per la trasformazione digitale.
Per quanto riguarda le strategie di internazionalizzazione, a livello globale, circa i due terzi dei business leader dichiarano di guardare per i prossimi 3 anni ai mercati emergenti di America Latina e Europa dell’Est. Diversa la strategia dei capi d’azienda italiani che puntano sui paesi sviluppati e in particolare sull’estremo Oriente, Australia (35%) e l’area dell’Asia-Pacifico (35%), inclusi Giappone, Cina, Honk Kong e Singapore. In Italia, inoltre, fortemente sentiti gli effetti negativi della Brexit, con ben il 56% degli amministratori delegati italiani che non ritiene probabile fare investimenti in UK dopo la Brexit. Totalmente contraria l’idea del campione globale, con ben il 54% dei ceo che reputa possibile continuare a investire in UK, nonostante la Brexit.
Sul fronte tecnologia e formazione, le aziende a livello globale negli ultimi anni hanno spinto più sulla digitalizzazione, dando priorità agli investimenti in tecnologia (68%), piuttosto che alla formazione e alla riqualificazione del personale (32%). Questa spinta sulla tecnologia è più evidente in Italia: probabilmente per recuperare un’evidente arretratezza, negli ultimi anni i top manager italiani hanno investito in tecnologia (86%), delegando meno risorse alla formazione (solo il 14%).