Italia al banco di prova dello smartworking

A seguito dello scoppio dell’emergenza sanitaria coronavirus –stando ai dati comunicati da ministero del Lavoro – sono 554.754 i lavoratori a cui è stato chiesto di fare smart working. Un numero che continua a crescere quotidianamente, come testimoniato dai maggiori operatori telefonici del nostro Paese che segnalano un incremento medio del 20%, e con picchi fino al 50%, del traffico dati sulle linee fisse.

Sono dati pubblicati nella rubrica Data Room del Corriere della Sera. Di fatto, siamo davanti al più grande esperimento di lavoro a distanza mai attuato nel nostro Paese. Prima dell’emergenza, infatti, lo smart working in Italia era un fenomeno che interessava 570 mila dipendenti (il 2%), contro il 20,2% del Regno Unito, il 16,6% della Francia e l’8,6% della Germania.

Secondo i consulenti del lavoro, i dipendenti che potrebbero lavorare da casa sono 8,2 milioni.

 

Le resistenze 

 

Tuttavia, in Italia la banda larga ultraveloce raggiunge il 24% della popolazione, contro la media Ue del 60%. Dunque, oltre 11 milioni di residenti in quelle aree restano scoperti, tra zone montane, campagne, periferie e quartieri di grandi città. Nelle tre regioni più colpite dall’emergenza, cioè Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, i comuni o le frazioni in cui non è possibile svolgere uno smart working efficiente sono ben 2.349.

Inoltre, anche nelle zone dove è possibile sfruttare una buona connessione, spesso a frenare lo smart working è la mentalità, orientata verso il controllo della presenza fisica in ufficio invece che verso la produzione di risultati. A reggere meglio sono le grandi aziende, che già da tempo si erano organizzate per attivare lo smart working.

 

I vantaggi

Tra i vantaggi dello smart working, l’articolo segnala:

  1. la meritocrazia, il fatto di essere valutato per i risultati portati e non per le ore passate alla scrivania.
  2. l’ambiente perché la riduzione del traffico riduce anche l’inquinamento.
  3. il guadagno delle aziende, che possono ridurre gli spazi, pagando affitti più bassi e bollette più leggere e riscontrando una produttività del lavoro più alta. In un’indagine, l’Università Bocconi ha messo a confronto due gruppi di lavoratori per 9 mesi. Chi ha lavorato in smart working ha fatto sei giorni in meno di assenze, ha aumentato del 4,5% il rispetto delle scadenze e del 5% l’efficenza.
  4. la libertà di organizzazione dei dipendenti visto che vengono meno i tempi per gli spostamenti casa-lavoro. In uno studio, il Politecnico di Milano ha rilevato che il 76% degli smart worker è soddisfatto del lavoro, contro il 55% dei dipendenti che lavorano in azienda.

Gennaro Di Vittorio

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