Ago della bilancia o custode della coscienza. E tu che general counsel sei?

Secondo uno studio della Singapore Corporate Counsel Association e della law firm CMS, condotto su un campione di responsabili affari legali di Singapore, un general counsel su cinque nutre l’ambizione di diventare amministratore delegato o direttore operativo.

Ma solo il 18% degli intervistati ritiene che, in qualità di head of legal, svolge già un lavoro che ha “un altissimo valore strategico per la società”.

«Per rispondere alle aspettative del cda è necessario prima di tutto un cambio di mentalità – ha commentato Steven Chong il presidente della Singapore Academy of Law, durante un evento di presentazione dedicato alla ricerca – i general counsel devono abbandonare l’idea tradizionale di fornire solo consulenza legale e prepararsi a dare consigli strategici per il business».

Si tratta di un’evoluzione che però, ammonisce Chong, deve avvenire responsabilmente.

Nonostante il ruolo degli avvocati in house si avvicini sempre più a quello di manager di azienda (complice il proliferare di leggi e regolamenti che ha infittito il quadro normativo in cui operano le imprese) la loro attività core rimane quella di giuristi.

Secondo Chong questi professionisti non devono mai dimenticare che la loro identità principe è soprattutto quella di “custodi della coscienza aziendale”. Una generalità su cui non si può mai scendere a compromessi e che deve sempre prevalere rispetto all’esigenza di fare alle scelte strategiche per il business.

Attenzione dunque a non diventare, fino a quando si rimane a capo degli affari legali, solo l’ago della bilancia. Il general counsel non può solo guidare le decisioni del management, ma deve anche custodire e sviluppare, all’interno dell’organizzazione, una cultura basata su principi etici, di integrità e sostenibilità.

Gennaro Di Vittorio

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