In house e comunicazioni riservate: 7 modi per evitare problemi

Un problema che riguarda gli in house counsel, di ogni settore e livello, è quello di mantenere le loro comunicazioni riservate. I legali d’impresa non sono infatti solo degli avvocati di fiducia delle aziende o dei “guardiani della legge e dei regolamenti”, ma anche dei veri consulenti aziendali che si occupano di business. Questo “doppio ruolo” crea però delle potenziali insidie per la riservatezza delle comunicazioni. Il sito Corporate Counsel ha stilato 7 consigli per minimizzare questo rischio.

1. Non dare per scontato che ogni comunicazione che coinvolge i legali in house sia riservata. Molti dipendenti di azienda ritengono, erroneamente, che una qualsiasi comunicazione con un avvocato goda dello status “riservato”. Ma le cose non stanno proprio così. Un’informazione tra avvocato e cliente rientra, infatti,in questa categoria solo se soddisfa tre requisiti: avviene tra avvocato e cliente; richiede o fornisce consulenza legale; tutto ciò che viene detto implica la massima discrezione. Per questo ogni in house dovrebbe mettere in guardia i dipendenti dell’azienda per cui lavora dal credere che quando scambiano email con un legale o quando lo invitano a una riunione, quella comunicazione sia riservata. 

2. Solo gli in house counsel sono responsabili del lavoro legale. I legali che lavorano in un’impresa, spesso si avvalgono dell’aiuto di colleghi che non sono avvocati. Va quindi ricordato, e possibilimente specificato in ogni comunicazione, che gli scambi di email o di qualsiasi altra informazione con queste figure professionali non sono equiparabili a quelle con un legale in house.  

 3. Limitare, per quanto possibile, il coinvolgimento di in house counsel stranieri. Il motivo è che molti paesi stranieri (come la Cina, la Russia e Paesi Bassi) non riconoscono (o lo fanno solo parzialmente) alcuna riservatezza alle comunicazioni con gli in house counsel.

4. Avvisare prima di ogni comunicazione che un in house rappresenta solo l’azienda e non i singoli individui. In America questa forma di precauzione è stata istituzionalizzata e si chiama “Upjohn warning”. Significa che, per evitare fraintendimenti, ogni in house dovrebbe ricordare sempre che tutto quello che gli sarà riferito dovrà essere poi comunicato all’azienda per cui lavora. 

5. Tenere separati consulenza legale e business. A differenza di quanto avviene per un consulente esterno le cui comunicazioni sono sempre di natura legale, un in house si occupa anche di altro. Un buon modo per evitare inconvenieti è perciò quello di non unire mai, ad esempio all’interno della stessa email, comunicazioni legali con altre che attengono al business. 

6. Attenzione agli appunti. Gli appunti conservati nel proprio pc o inviati ad altri non possono essere considerati “sensibili”. Ecco perché ogni in house dovrebbe fare molta attenzione anche a questo tipo di comunicazioni.

7. No ai documenti “sovra designati”. Quando i dipendenti scrivono agli in house counsel, spesso aggiungono meccanicamente le parole “avvocato-cliente riservato”. Tuttavia, come già ricordato, non tutte le conversazioni che coinvolgono gli in house sono risevate. Meglio quindi identificare quello scambio di messaggi con la dicitura “consulenza legale” o “confidenziale”. Ma solo quando lo è davvero.  

Gennaro Di Vittorio

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