Il paradosso del legal privilege per gli in house

Anche Spagna, Svizzera e Francia aprono al riconoscimento del segreto professionale per il giurista d’impresa. E noi?

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di michela cannovale

Legal privilege e giuristi d’impresa. Un tema che continua a scottare, in Italia più che altrove, e di cui si è parlato nella giornata di apertura della Legalcommunity Week 2023. A discuterne, in una tavola rotonda moderata da Giuseppe Catalano, company secretary and head of coporate affairs di Assicurazioni Generali, oltre che presidente di Aigi (Associazione italiana giuristi d’impresa), sono stati: Fabio Bertoni, general counsel di The New Yorker Magazine; Luca Dezzani e Ilario Giangrossi, entrambi equity partner di Grimaldi Alliance; Teresa Minguez Diaz, general counsel e compliance & integrity officer di Porsche Ibérica; Daniel Fesler, managing partner di Grimaldi Alliance in Belgio; Lisa Alice Julien, partner di Grimaldi Alliance in Francia e Italia; Javier Ramirez, vice president & associate general counsel regions litigation di HP nonché head of advocacy di ACC Europe.

Obiettivo del panel? Illustrare lo stato dell’arte del legal privilege nelle differenti giurisdizioni di riferimento degli speakers. Perché sia un tema ancora scottante soprattutto per l’Italia lo vediamo nei due capitoli che seguono.

Il paradosso del legal privilege

Sulla base del decreto legislativo n. 3/2017 che ha recepito la direttiva 2014/104/UE, il legal privilege altro non è che la tutela del segreto professionale che viene riconosciuta all’avvocato e che riguarda tutta la corrispondenza oggetto di scambio con il cliente nell’ambito di indagini penali, antitrust, azioni collettive e nella normativa antiriciclaggio. In particolare, il legal privilege è un elemento essenziale per il libero svolgimento della professione forense per tre motivi: è uno strumento di tutela tanto per il cliente quanto per l’avvocato; è un’espressione del principio di legalità e del livello di democraticità di un Paese; infine, garantisce il rispetto della privacy dell’assistito.

Nel nostro Paese, il legal privilege viene riconosciuto unicamente agli avvocati del libero foro e non ai giuristi in house. Da un lato, infatti, secondo la giurisprudenza nostrana, lo scambio tra legale in house e azienda non avverrebbe nell’esercizio del diritto alla difesa del cliente ma sulla base di un rapporto di impiego. In secondo luogo, l’assoggettamento a regole anche deontologiche non allontanerebbe il rischio di conflitti di interesse e non assicurerebbe una piena indipendenza del legale rispetto all’impresa.

Come ha spiegato Giuseppe Catalano a MAG a margine della tavola rotonda, «in Italia, il segreto professionale per gli avvocati è previsto solo nel codice penale e nel codice di procedura penale, oltre che in una serie di normative settoriali soprattutto di importazione eurounitaria (ad esempio nel settore antitrust e per quanto riguarda le misure di prevenzione al riciclaggio). E, ovviamente, riguarda solo gli avvocati iscritti all’albo professionale ed agli elenchi speciali, cui si si applicano anche le norme del codice deontologico. Come ci hanno ricordato i colleghi di Grimaldi Alliance, vi è stata anche una pronuncia del Consiglio di Stato che ha stabilito l’impossibilità di ritenere che il segreto professionale copra le comunicazioni interne all’aziende, anche quando illustrino le opinioni degli avvocati esterni». 

Proprio il mancato accesso all’albo professionale degli avvocati costituisce il motivo principale per cui il giurista d’impresa, in qualità di lavoratore dipendente, non gode del legal privilege. Eppure, come ci diciamo da tempo, la figura dell’in house counsel è andata evolvendosi negli ultimi anni, diventando sempre più un partner aziendale, che è sì esperto di diritto, ma possiede anche la natura del manager. È un professionista del diritto, certo, che tuttavia si muove quotidianamente nel e per il business di cui fa parte. E, soprattutto per le società mediograndi, è ormai una risorsa fondamentale.

E sia. Nonostante tale ascesa, il legal privilege non è fra le prerogative del giurista in house. Non è forse questo un paradosso?

A questo proposito, ha proseguito Catalano, «come ripeto spesso, il segreto professionale non è un “privilegio”, come potrebbe indurre a pensare una maccheronica traduzione della terminologia inglese. Al contrario, è una garanzia di poter svolgere al meglio il proprio lavoro. Da questo punto di vista, non poter ricorrere al segreto compromette il buon lavoro del giurista interno, che dovrebbe poter fornire un’opinione legale ai propri stakeholder interni in tutta serenità».

Il legal privilege negli altri Paesi

È soprattutto guardando alla situazione internazionale che ci si rende conto del paradosso: il riconoscimento della riservatezza delle comunicazioni tra i giuristi d’impresa e il loro “cliente interno”, infatti, non rappresenterebbe solo un passo avanti per la categoria in house, ma permetterebbe anche di allineare l’Italia agli altri ordinamenti europei.

Prendiamo il Regno Unito, per esempio, dove i legali in house godono del cosiddetto legal advice privilege e non, invece, del litigation privilege – dove il primo tutela le comunicazioni tra avvocato e cliente, mentre il secondo include anche le comunicazioni con una terza parte. Prendiamo la Germania, dove i giuristi d’impresa godono del legal privilege per le cause civili, ma non per quelle penali (ma “è già qualcosa”, dirà qualcuno). Prendiamo la Spagna, dove tutto è cambiato nel marzo 2021, quando il governo ha approvato il nuovo Statuto Generale dell’Avvocatura, che ha sostituito il sistema in vigore dal 2001 concedendo il legal privilege anche ai legali in house e rendendoli, di fatto, avvocati al pari dei colleghi del libero foro. Idem per il Belgio.

Anche in Svizzera, dopo anni di tentativi falliti, la revisione del Codice di Procedura Civile nel 2022 ha incluso diversi passaggi sul segreto professionale per i giuristi d’impresa. Una recente apertura si è registrata poi da parte della Cour de Cassation francese, che ha riconosciuto il legal privilege nella corrispondenza aziendale prodotta dai legali in house, riferita ad attività di audit, anche se non scambiata direttamente con i legali esterni.

Gli Stati Uniti, invece, sono “aperti” da un pezzo. Fabio Bertoni, general counsel di The New Yorker Magazine, ha definito addirittura «bizzarre» la distinzione tra legali interni ed esterni che in Italia costringe i primi a vedersi tagliati fuori dall’albo e non godere degli stessi privilegi dei secondi. Nota bene: che, visto che non ci piacciono le traduzioni maccheroniche, non significa esattamente strana o bizzarra, quanto, piuttosto, bislacca, curiosa, folcloristica… E, ok, non sarà un insulto, ma neanche un complimento. «Negli Stati Uniti – ha spiegato Bertoni, interpellato da MAG – il legal privilege è un elemento estremamente importante per mantenere l’indipendenza e la professionalità di chi esercita la professione legale. A differenza di alcune giurisdizioni europee, qui il segreto professionale copre la consulenza fornita dai legali sia interni che esterni. Questo aspetto è fondamentale per tutte quelle imprese – inclusa quella dei media – in cui il ruolo dell’in house counsel è particolarmente solido e in cui il cliente […]

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michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

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