I general counsel e la supremazia del fattore G
In tempi di crisi le direzioni legali possono guidare il cambiamento. Se ne è parlato all’evento EsGovernance di Enel. MAG c’era e qui vi racconta cosa è emerso
C’è grossa crisi, diceva Corrado Guzzanti, e non è un segreto. Le epidemie, le guerre, il cambiamento climatico, le diseguaglianze, lo scontro fra culture, la disinformazione. Non è un segreto per la maggior parte dei singoli e, soprattutto, non è un segreto per la maggior parte delle imprese, considerate oggi alla pari di agenti sociali attivi per il cambiamento auspicato dalle direttive esg – environmental, social, governance. Se vogliono rimanere competitive nel lungo periodo, le aziende hanno bisogno modelli decisionali nuovi per affrontare le sfide odierne. Per diventare più responsabili, etiche, inclusive e trasparenti.
In tale contesto, chi è chiamato a svolgere un ruolo sempre più centrale nella gestione dei rischi cui si trovano di fronte le imprese sono le loro stesse direzioni legali interne, che possono aiutare il management nell’adozione di buone pratiche e principi etici nei confronti tutti gli stakeholders che prendono parte allo sviluppo del business. I dipendenti quindi, ma anche i collaboratori esterni. I fornitori, ma anche i partner tecnologici e commerciali. I media, ma anche la comunità scientifica, le istituzioni e i clienti a cui il loro prodotto si rivolge.
È su queste premesse che si è tenuto a Roma l’evento EsGovernance organizzato il 16 e 17 gennaio da Enel, patron dell’iniziativa Transformational Governance del Global Compact delle Nazioni Unite. Due giornate di confronto sui temi della governance e della sostenibilità tra i general counsel delle principali aziende italiane. Obiettivo: il raggiungimento, un domani non troppo remoto, degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
A dirigere i lavori Giulio Fazio (in foto), general counsel di Enel – che MAG ha avuto l’opportunità di intervistare –, accompagnato da Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, da Michelle Breslauer, senior manager global governance del Global Compact, e dai professori Patrick Bolton dell’Imperial College di Londra, Marco Becht dell’Université Libre di Bruxelles e John Armour dell’Università di Oxford.
Capire la transformational governance
La trasformational governance, come ha spiegato il general counsel Giulio Fazio nella sua video intervista con MAG, è «un progetto lanciato dalle Nazioni Unite affinché vengano create delle regole di governance per accelerare il raggiungimento dei principi esg» dal momento che «si è preso atto del fatto che, se ci si limita ad aspettare che gli Stati recepiscano delle leggi che incentivano il rispetto dei principi di sostenibilità (in materia di cambiamento climatico, di rispetto dei diritti umani e sociali) e che le aziende si adeguino solo perché la legge lo dice, ci si metterà troppo tempo per raggiungere gli obiettivi del Millennio. Troppo tempo che potrebbe costare caro, per esempio, in termini di contenimento del riscaldamento globale». La transformational governance è quindi una «call to action alle multinazionali ad implementare da sole», senza aspettare che siano i governi a farlo, «i principi esg nei paesi in cui operano». È “governance che si trasforma”, in sostanza, che consiste in «procedure e le regole che le aziende vogliono seguire per dimostrare che stanno andando verso quegli obiettivi».
Esg e il ruolo dei general counsel
Se è vero che gli uffici legali in house sono sempre più coinvolti nell’offrire alle aziende una direzione verso ciò è buono e giusto, è vero anche che il valore dei principi esg ha subito nel tempo una certa evoluzione. Il focus, inizialmente rivolto soprattutto alle questioni ambientali, si è allargato a criteri che riguardano la comunicazione, la trasparenza, l’equità del e sul posto di lavoro. Questa evoluzione sta già producendo i suoi effetti su quella transformational governance che menzionavamo qualche riga più in su, e i suoi requisiti normativi e di conformità richiedono una serie di attenzioni considerevoli da parte dei general counsel e dei loro team.
Difficile, in fondo, pensare che questo compito spetti ad agenti che non siano proprio i partner legali delle aziende, visto che i principi esg sono fortemente legati a norme scritte e non scritte e, dunque, a possibili danni d’immagine. I chief legal officers, non a caso, intervengono sempre più spesso per gestire non solo i rischi legali relativi all’agenda esg della loro organizzazione, ma anche i potenziali rischi reputazionali relativi alle aspettative che su questa agenda hanno i vari stakeholders.
A questo proposito è utile fare riferimento a quanto emerso negli anni passati dall’Edelman Trust Barometer, l’indice che misura l’andamento del rapporto di fiducia tra i cittadini e quattro tra le principali istituzioni che operano nella società: governo, business, media e organizzazioni non governative. L’edizione 2021 di questo indice, in particolare, ha rilevato che è sempre più diffusa l’aspettativa che siano le aziende – il business, dunque – a guidare il cambiamento sociale e ambientale. Ha dichiarato di pensarla così l’86% degli intervistati (33.000 le persone coinvolte in totale). Il 76% ha addirittura affermato di ritenere il proprio datore di lavoro la realtà in assoluto più credibile rispetto a media, ong e governo.
A questi risultati si aggiungano poi quelli dell’indagine condotta nel 2022 dall’ACC (Association of Corporate Counsel), secondo cui: 1) negli ultimi quattro anni la percentuale di legali in house che riportano direttamente all’amministratore delegato è salita dal 64% all’80%; 2) quasi il 25% degli stessi legali è ora responsabile delle tematiche esg (era il 16% nel 2020).
Numeri, questi, significativi dell’ascesa delle direzioni legali nella promozione della sostenibilità aziendale. O no?
Come ha concluso Giulio Fazio, «noi general counsel possiamo fare molto perché conosciamo bene il business delle nostre aziende e le regole che devono essere rispettate per portare avanti questo business. Siamo quelli che possono fare da trait d’union tra cosa è necessario per fare business e cosa è necessario per farlo in modo sostenibile, nel rispetto non solo delle regole scritte ma anche delle regole che un’azienda si vuole dare. Ma c’è di più. Siccome queste regole verranno comunque scritte da qualcuno, se non saremo noi general counsel ad occuparcene, se ne occuperanno altri. Altri che potranno essere legislatori mossi magari da istanze ideologiche, più che da istanze reali di cambiamento. E delegare ad altri la fattibilità dell’implementazione di queste regole vuol dire esporsi al rischio di regole fatte male».
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