Giuristi d’impresa: è giusto chiamarli “in house”?

Un post sui social ha acceso il dibattito sull’utilizzo della locuzione “in house counsel” per indicare i giuristi d’impresa.

In particolare, il chief legal officer di Coinbase Paul Grewal ha sollevato il tema semantico con un post sul suo profilo LinkedIn che dice: «perché la frase “in house counsel” mi irrita così tanto? Non so dire esattamente il motivo, ma la sensazione è reale».

Dalla riflessione di Grewal è nata tra i legali d’impresa una discussione sui pro e contro dell’essere identificati come “in house counsel”.

Tra i pro viene indicato che la locuzione riflette il fatto che i giuristi d’impresa sono parte integrante dell’azienda, questo li avvicina al business e garantisce loro la fiducia dell’amministratore delegato e degli altri dirigenti. Il termine “interni” sta a rimarcare, secondo altri, proprio la differenza con gli avvocati di studio, chiamati infatti “esterni” in quanto considerati lontani dal cuore strategico della società. Qualcuno ironizza anche sul fatto che il vocabolo “in house” è più calzante che mai, ora che numerosi legali lavorano da casa da diversi mesi per via della pandemia.

Tra i contro invece si sostiene che proprio l’essere indicati come “in house” di fatto enfatizzi la distanza tra l’avvocato e l’azienda, sottolineando che si appartiene a uno status di “outsider”. Anche fare riferimento alle altre divisioni aziendali come ai propri “clienti”, alimenta la distanza. Chi lavora nelle altre business unit, semmai, è un collega. Poi, oltre a non essere realmente parte dell’azienda, poiché dedicati a una funzione specifica e “super partes”, i giuristi d’impresa non sono nemmeno parte dell’ordine degli avvocati, fanno notare alcuni professionisti e chiamarli “in house” è un monito a questo.

C’è chi poi non ha una particolare opinione negativa o positiva sul nome. Quest’ultimo non ha importanza, fanno notare, se al legale “in house” vengono riconosciuto il giusto valore, anche economico, e rispetto. Un po’ come a dire che, citando Shakespeare, una rosa conserverebbe il suo profumo anche se le cambiassero il nome. E in effetti…

Voi invece cosa ne pensate?

ilaria.iaquinta@lcpublishinggroup.it

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