Giuristi d’impresa contro l’articolo 18

I giuristi d’impresa sperano nel ddl concorrenza per eliminare ogni incompatibilità tra lo status di avvocato e quello di legale in-house. E puntano a compiere un altro importante passo lungo il cammino che dovrebbe portare alla codificazione della loro professione. Il testo di legge, da poco approvato in consiglio dei ministri e ora in discussione al Parlamento, nella sua stesura iniziale, secondo quanto appreso da Mag by legalcommunity.it, conteneva una norma che abrogava l’ultimo comma dell’articolo 18 della legge forense, quello in cui si dice che la professione d’avvocato è incompatibile «con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato». Tuttavia, il testo, che per i giuristi d’impresa avrebbe avuto una portata storica, è saltato nella stesura finale del ddl approvato dal consiglio dei ministri. «Non so cosa abbia fatto venir meno questo passaggio», dice a Mag by legalcommunity.it Raimondo Rinaldi (nella foto), presidente di Aigi, l’associazione italiana dei giuristi d’impresa, «tuttavia, come associazione intendiamo agire per far sì che nel corso dell’esame della legge in Parlamento, questa previsione venga reintrodotta».

IL NODO DELL’INDIPENDENZA

Il dibattito sulla permanenza o meno degli avvocati in-house negli albi professionali va avanti da anni ed è tutto incentrato sulla quesitone dell’indipendenza di questi professionisti. ?I vertici delle istituzioni forensi, da sempre, ritengono che l’essere dipendenti di un’azienda faccia venir meno questo requisito. I giuristi d’impresa, per parte loro, sostengono invece che la questione non si pone: «Da anni oramai le aziende riconoscono un ruolo autonomo ai loro giuristi in-house, per cui metterne in dubbio l’indipendenza non ha fondamento». Anche l’Antitrust, in sede di conclusioni a seguito della nota indagine conoscitiva sul sistema ordinistico (1994/1997) definì l’attività del legale d’azienda come una “professione dipendente”. E poi c’è il buon senso. Non si capisce, ad esempio, per quale ragione un avvocato che lavori alle dipendenze di un ente pubblico o di una partecipata o persino di una ex partecipata (come nel caso di molte banche) possa essere iscritto nell’apposito elenco speciale degli albi, mentre l’avvocato che lavori alle dipendenze di una società privata non goda dello stesso diritto. Il nocciolo della questione, dunque, è il dibattito sull’indipendenza al quale è appena stato dedicato un Libro Bianco, «Company Lawyers: Independent by Design», realizzato da Ecla (Associazione europea dei giuristi d’impresa).

UNA DISCIPLINA AD HOC

Ma l’obiettivo di Aigi non è solo la cancellazione della disparità di trattamento tra avvocati di impresa privata e avvocati del libero foro. Come sottolinea Rinaldi, «noi intendiamo lavorare a un progetto per disciplinare in maniera organica la figura del giurista d’impresa. E puntiamo a una normativa che regolamenti questa professione per la sua specificità», anche perché chi fa il giurista d’impresa non sempre è anche un avvocato. Nel 2013, l’Aigi ha ottenuto l’iscrizione nel registro delle professioni non regolamentate. Ma la cosa, alla prova dei fatti, ha cambiato poco la percezione della professione nel mercato. Ed è per questo che secondo Aigi serve un riconoscimento specifico da parte del Legislatore. Anche in considerazione della funzione di presidio della legalità che i giuristi d’impresa possono esercitare nelle aziende in cui lavorano. Se passa questo concetto, allora diventa chiaro che l’attività di questi professionisti «ha un risvolto di alto valore sociale e pubblico», conclude Rinaldi.

 

 

 

Gennaro Di Vittorio

SHARE