Gender Pay Gap e discriminazioni sul lavoro: la ricerca Adp
Si avvicina la scadenza del 30 settembre per la stesura del rapporto biennale obbligatorio recante le retribuzioni e le certificazioni di parità tra i gender all’interno delle aziende con almeno 50 dipendenti. Il rapporto dovrà essere redatto per ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, formazione, promozione professionale, livelli, passaggi di categoria o di qualifica, intervento CIG, licenziamenti, prepensionamenti e pensionamenti, retribuzione effettivamente corrisposta. Il tutto al fine di abbattere il divario di genere.
Nel dicembre 2021 è infatti entrata in vigore la legge 162/2021 a modifica del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna, volta a intervenire sulle differenze salariali e professionali tra i due sessi nel mondo del lavoro.
Per “discriminazione” si intende anche quella che può essere applicata nell’organizzazione degli orari e delle modalità di lavoro. Secondo la normativa, infatti, la discriminazione è un trattamento che mette un lavoratore in condizione di svantaggio rispetto agli altri o di limitazione alla possibilità di partecipare alla vita e alle scelte aziendali.
Viene inoltra aggiunta la certificazione di parità di genere che viene riconosciuta alle aziende valutate come conformi alla normativa. Le imprese che vi si conformeranno beneficeranno infatti di uno sconto dell’1% sui contributi da versare fino a un massimo di 50.000 euro annui.
Ma qual è la percezione dei lavoratori in Italia rispetto al tema della discriminazione sul posto di lavoro?
Lo rivelano i dati della ricerca “People at Work 2022: A Global Workforce View”, l’annuale survey redatta dall’ADP Research Institute. ADP è un multinazionale americana leader nell’human capital management e presente in Italia tramite ADP Italia. L’indagine si è svolta su circa 33mila lavoratori in 17 Paesi, di cui circa 2mila in Italia.
DIVERSITÀ, EQUITÀ, INCLUSIONE
L’atteggiamento delle aziende nei confronti della diversità, dell’equità e dell’inclusione (DEI) sul posto di lavoro sta rapidamente diventando una questione fondamentale per i lavoratori.
Un dipendente italiano su 4 (23%) ritiene che la propria azienda abbia implementato negli ultimi tre anni una politica contro il divario retributivo di genere, a favore di diversità e inclusione. Nonostante ciò, secondo il giudizio dei lavoratori rimane un 46% di aziende che sostiene l’importanza di queste politiche ma non ne ha mai implementata una. Secondo il 19% degli intervistati, la situazione è addirittura peggiorata dal 2019.
Lo studio ha rilevato inoltre che tre quarti (75%) dei dipendenti, prenderebbero in considerazione la possibilità di cercare un nuovo lavoro se scoprissero l’esistenza di un divario retributivo di genere iniquo o l’assenza di una politica di diversità e inclusione nell’azienda. Sebbene questa percentuale sia prevalentemente composta da donne (78%), gli uomini non sono da meno (72%), e i dipendenti più giovani sono tra i maggiori sostenitori di tali politiche (85% tra i 18 e 24 anni, contro il 61% degli over 55).
«È chiaro che il senso etico delle aziende è sottoposto a un esame scrupoloso da ogni punto di vista ed è alle imprese che spetta l’onere di dimostrarsi all’avanguardia nel perseguire delle buone pratiche, o per lo meno di non essere in ritardo», specifica Marcela Uribe, general manager ADP Italia. «Dato che il divario retributivo – prosegue Uribe – è un fattore determinante per i più giovani, probabilmente i dipendenti attuali e futuri si aspetteranno che le imprese prendano sul serio i principi DEI e li incorporino nella cultura aziendale».
Mentre si ritiene che i principali promotori dell’uguaglianza retributiva e delle politiche di diversità e inclusione all’interno di un’azienda siano i team di manageriali (25%), gli imprenditori (20%) e i reparti HR (23%), in un quarto circa dei casi (20%) il compito è lasciato ai dipendenti. Il 29%, invece, segnala la totale assenza di iniziative.
Secondo circa la metà dei dipendenti, nelle loro aziende il personale è eterogeneo dal punto di vista etnico (48%) e di genere (57%). Tuttavia, questa percentuale scende drasticamente in tutto il mondo per quanto riguarda la rappresentazione delle disabilità: solo il 40% sostiene sia equa. Considerando che un miliardo di persone, o circa il 15% della popolazione mondiale, convive con una qualche forma di disabilità (secondo l’organizzazione benefica ADD International), il problema non deve essere ignorato.
«I datori di lavoro devono pensare a come poter sostenere al meglio i dipendenti affetti da disabilità fisiche, soprattutto dal momento che la pandemia potrebbe rendere le persone disabili più vulnerabili a problemi di salute. Le strategie delle aziende potrebbero trarre vantaggio dal comprendere come supportare e includere le neuro diversità, come dislessia e autismo, all’interno dell’azienda», commenta Uribe.
RICERCA 2021: IMPATTO DELLA PANDEMIA
Riportiamo inoltre alcuni dati emersi nella medesima ricerca ADP svolta nell’anno precedente (“Workforce View 2021”) e focalizzata ad analizzare quali siano stati, durante la pandemia, i maggiori cambiamenti nel mondo del lavoro.
Le sfide legate al COVID-19 hanno consentito ad alcuni lavoratori di sviluppare competenze nuove o intraprendere percorsi di carriera che sfruttano il loro potenziale in modi imprevisti e aumentano la soddisfazione personale. Gran parte di essi ha ricevuto una ricompensa per il proprio impegno: il 56% ha avuto un aumento di stipendio o un bonus, anche se restano preoccupanti le disparità di genere.
Dall’analisi dei dati, è emerso infatti come siano ancora una volta le donne a essere lasciate indietro nel riconoscimento di un compenso economico a seguito dell’assunzione di una nuova carica o dell’aumento delle responsabilità affidate loro per colmare i vuoti aziendali causati dal Covid-19.
È stato chiesto ai lavoratori italiani: “Cosa ti ha offerto il tuo datore di lavoro nel momento in cui hai assunto queste responsabilità aggiuntive e/o un nuovo ruolo?” il 29% degli uomini ha ricevuto un aumento di stipendio contro il 24% delle donne. Il 32% degli uomini un bonus economico contro il 26% delle donne.
«Le disparità, quindi, sono ancora presenti e reali – dichiara Uribe – ma questa nuova normativa potrebbe essere l’inizio di un percorso di cambiamento che, anche se lento e faticoso, potrebbe portare nel tempo, se non a una totale uguaglianza, almeno a una drastica riduzione del divario professionale e retributivo tra i due sessi».