Essere legal manager
General counsel: l’evoluzione è in atto. È questo il segno lasciato dagli Inhousecommunity Days del mese scorso. C’è chi ha parlato di “metamorfosi” di una professione sempre più articolata e decisiva per la vita delle aziende in cui i giuristi operano; c’è chi si è soffermato sulla rinnovata forza contrattuale di coloro che oggi cercano lavoro in questo ambito; chi ha sottolineato il superamento – anche sul piano della retribuzione – della concezione della professione in house come di “serie B” rispetto alla più blasonata avvocatura del libero foro. #Internazionalizzazione, #sostenibilità, #tecnologia, #specializzazione sono solo alcuni degli hashtag che ci hanno regalato le conferenze romane di fine settembre.
Se ne ricava è una sempre più marcata centralità del giurista d’impresa, nella propria organizzazione e anche all’interno della categoria professionale. C’è una tendenza di fondo, che in alcuni casi è già realtà, mentre in molti altri è ancora solo una prospettiva in divenire: la trasformazione del corporate counsel in vero e proprio “manager legale”. Un profilo C-level, con tutto ciò che ne consegue in termini di competenze, gestione, visione, valorizzazione dei propri collaboratori, capacità di delega, apertura all’innovazione e via dicendo. Sempre su queste pagine, Andrea Pezzangora (gc del gruppo Benetton) aveva descritto l’importanza di una direzione legale pienamente compenetrata nell’organizzazione aziendale e di come la funzione di general counsel contribuisca «a far sì che l’applicazione delle procedure aziendali (…) non sia sterile ma “pensante”» (vedi MAG 187).
ESSERE LEGAL MANAGER
Torniamo a Roma, Inhousecommunity Days 2022. “Onniscente, onnipresente, onnipotente”. Le tre qualità che si richiedono a un general counsel che si rispetti, descritte con efficace ironia da Sandra Mori, nel corso del suo Keynote Speech: «Se non avete queste tre caratteristiche, ripensate un attimino al vostro futuro…», ha scherzato la ambassador di In2Law. Mori vanta alle spalle un’importante carriera sia in studio che da legale d’azienda e ha tracciato con l’abilità di chi sa di cosa parla il percorso evolutivo della professione in house. Da “risk manager”, col ruolo di semaforo, a “business partner” immerso in ogni meandro della vita aziendale, con relativa dispersione di tempo ed energie. E ora? L’evoluzione ci porta al “legal manager”: una figura che, con approccio sistematico e strutturato «deve passare da gestire i cambiamenti dettati dalle urgenze a definire un vero e proprio modello operativo per la gestione della funzione legale», spiega ancora Mori. Il legal management, dunque, si impone come una delle tante soft skill nel bagaglio del general counsel: «Un approccio, un modo di guardare al lavoro legale all’interno dell’azienda in maniera strutturata, che deve partire dall’analisi dei modelli operativi e di quello che l’azienda ha al suo interno». In quest’ottica, conoscere i processi aziendali diventa il solo modo di «capire quali sono i punti nodali della gestione e intervenire su quelli: questo rende il lavoro più concreto, (…) permette di allineare la funzione legale al modello di business dell’azienda e gestire il rischio legale in maniera molto più efficiente», con l’importante conseguenza, sempre secondo Mori, di rendere misurabile l’impatto della funzione legale sul processo aziendale.
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