Effetto quote rosa?
C’è chi l’ha accusata di essere una legge non meritocratica. Una norma che si limitava a trattare le donne come dei panda chiusi in una riserva. Eppure la legge 120 del 2011 – quella sulle cosiddette quote rosa che impone il rispetto di quote di genere nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate in Borsa – qualche progresso sembrerebbe averlo portato.
Secondo i dati dell’ultimo rapporto Consob sulla corporate governance nelle società quotate, a fine giugno 2015, il 27,6% dei posti di consigliere era ricoperto da donne. Un risultato non da poco se si tiene in considerazione che nel 2012 le consigliere erano solo l’11,6%. Non solo. Dal report emerge inoltre che, nella quasi totalità delle imprese, almeno una donna siede nel board.
C’è però anche l’altro lato della medaglia. La maggior parte delle donne è, infatti, amministratore indipendente. Mentre sono soltanto sedici le professioniste che ricoprono il ruolo di amministratore delegato: il 2,6% del totale. Va detto che la legge non impone né specifica quale ruolo la professionista debba occupare nel consiglio di amministrazione. E tuttavia questo dato è un indicatore importante di come il mercato del lavoro italiano sia ancora molto restio a riconoscere e accettare le donne nelle posizioni di responsabilità e, soprattutto, di potere.
Eppure la legge sulle quote rosa indica una strada giusta: quella che parte dal vertice. Solo le donne di potere – consapevoli del loro ruolo e del loro compito – possono, infatti, tracciare una strada che potrà poi essere percorsa anche dalle altre. Da tutte quelle lavoratrici che ancora oggi vengono rifiutate ai colloqui di lavoro se osano non rispondere a domande sul loro (più che legittimo) desiderio di avere figli. Da quelle professioniste che, nonostante i titoli accademici e l’esperienza lavorativa, continuano a essere pagate il 16% in meno dei colleghi maschi.
Il ritardo nell’uguaglianza di genere sul mercato del lavoro oggi non è più accettabile. Escludere o penalizzare una parte della forza lavoro è, oltre che incivile, anche antieconomico. E se per rompere il cosiddetto glass ceiling (che più che un soffitto di cristallo si è rivelato un coperchio di piombo) serve imporre la presenza di donne lì dove vengono prese le decisioni, ben venga. Le dietrologie lasciamole a chi la discriminazione non sa (fortunatamente) cosa sia.