Diversità di genere negli studi d’affari, diamo un taglio alla negligenza

Diversità di genere e studi legali. Facile a dirsi, ma un po’ meno a farsi.

Quando parlo coi partner degli studi legali cadono tutti nel “negazionismo”. «Da noi questo problema non esiste», e ancora: «da noi tutti hanno le stesse opportunità», mi dicono. E le prime a dirlo sono proprio le donne che ce l’hanno fatta: le socie. Numeri alla mano però poi dove sono le loro colleghe negli studi?

Tra gli associate e i trainee.

Le socie non mancano, certo, e c’è anche da dire che alcune hanno ruoli chiave (managing partner o responsabili di practice a livello nazionale o internazionale)… ma nella maggioranza dei casi sono in quota rispetto alla popolazione complessiva degli avvocati d’affari che contano.

E dunque ammettiamolo: “Houston, abbiamo un problema”.

Gli analisti ci direbbero che ammettere di avere un problema è il primo passo per provare a risolverlo. E va risolto il problema della diversità di genere bistrattata, perché è un problema di tutti, non solo delle donne. La professione continua a cambiare, sia nei modi in cui viene svolta, attraverso la tecnologia, sia nei tempi del lavoro, sempre più stretti. In questo contesto, trovare e trattenere i talenti sarà sempre più centrale e rinunciare alle donne significa dimezzare la possibilità di trovarne e trattenerne. Significa dire di no alla crescita economica dello studio.

Ma i clienti possono fare qualcosa, contribuire a invertire la rotta. Su MAG 116 e 119 avevamo parlato di un’iniziativa partita dagli Usa e giunta in Europa: una lettera aperta, inviata da oltre 200 general counsel e direttori affari legali ai propri consulenti, con la richiesta di prestare una maggiore attenzione ai temi della diversità e la promessa di indirizzare la fetta più cospicua della spesa legale verso gli studi legali che dimostrano di essere veramente inclusivi.

In Italia ancora nessuno ha replicato l’iniziativa. «Non ci sono i numeri negli studi per fare una cosa del genere», mi ha detto una giurista d’impresa. Ma a sentire gli studi, invece, i numeri ci sono già…

Ve ne dico un’altra, nuovissima (annunciata il 13 febbraio). Novartis ha assegnato dei target di diversità agli studi legali del proprio panel. Il 30% delle billable hours degli associate e il 20% di quello dei partner devono provenire – come si legge in una nota della casa farmaceutica – da “donne, minoranze etniche e culturali o membri della comunità LGBTQ+, con l’aspettativa che tali impegni arrivino a una quota di parità negli anni a venire”. Cosa succede agli studi che non rispettano l’impegno richiesto? L’azienda trattiene il 15% dell’importo totale pattuito.

Chiamo alle armi le direzioni affari legali italiane più grandi, perché da quelle possono partire certe iniziative…

 

Gennaro Di Vittorio

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