De Martini la mia ricerca della “positività”

«Ogni giorno, scelgo la positività e questa è la cifra che guida la mia vita, anche professionale». Paola De Martini è una delle avvocate e manager più potenti d’Italia. Negli ultimi 10 anni ha lavorato in Luxottica arrivando a ricoprire la carica di vice president Corporate governance and international Tax ed entrando a far parte del gruppo dei 17 dirigenti con responsabilità strategica del colosso dell’occhialeria fondato ad Agordo da Leonardo Del Vecchio. Dal prossimo mese di maggio, come anticipato in esclusiva da legalcommunity.it lo scorso primo di aprile, De Martini si trasferirà armi e bagagli in Svizzera, nel quartier generale di Ginevra della STMicroelectronics, quotata a New York, Parigi e Milano, con un giro d’affari globale di oltre 8 miliardi di dollari e circa 45mila dipendenti. In questa intervista, De Martini, che nella sua carriera ha vissuto lo studio legale, formandosi a Genova da Uckmar, e poi tante realtà aziendali (da Bulgari a Grimaldi) racconta ai lettori di Mag by legalcommunity.it la sua scelta, il suo modo di lavorare, che l’ha portata anche a entrare nel consiglio di gestione di Bpm, il suo modo di relazionarsi ai consulenti esterni e la forza delle donne nel mondo lavoro. «Le persone contano» dice l’avvocato manager, «e questa convinzione è la stella polare che mi ha guidata in tutti questi anni, portandomi a scegliere sempre con grande attenzione con chi collaborare».

In che modo lo ha fatto?

Mi sono circondata sia all’interno dell’azienda che all’esterno, di persone con cui condivido un idem sentire.

Perché?

Perché credo sia fondamentale sapere chi hai intorno quando sai che ti troverai a condividere grandi progetti e grandi stress, possibilità di successo ma anche di fallimento.

E chi sono queste persone?

Tra Italia e Stati Uniti, Cina e Australia in Luxottica ho avuto un team di circa trentacinque persone. Una squadra piuttosto grande per essere “solo” la parte fiscale e di Corporate Governance di una realtà aziendale. E posso dire che sono tutte persone positive, con cui abbiamo creato un microclima del vivere, eccellente.

Ce lo descrive?

È un team dove non ci sono grandi scale gerarchiche. È molto flessibile anche sul piano dell’organizzazione interna. C’è grande stima reciproca. E questo consente autonomia di azione alle persone che fanno capo a me, anche se in modo coordinato e allineato alle mie linee guida.

E non è una cosa scontata…

Per dare autonomia c’è bisogno di generosità. Se c’è generosità, ti fidi e rischi. Vai a vedere quello che la persona sa fare e le dai la possibilità di dimostrarlo. Se non ti fidi è evidente che hai bisogno di schemi e strutture più rigide.

Questo vale anche nel rapporto con i consulenti esterni?

Nel gennaio 2005, quando ho avuto la fortuna di essere chiamata in Luxottica, non mi sembrava corretto, avendo già avuto tanti anni di esperienza sia nello studio legale Uckmar sia in aziende internazionali, portare un mio consulente.

Perché?

Perché conoscevo tutti. Ne stimavo e ne stimo 100. Ci sono tantissimi consulenti bravi. E allora mi è sembrato corretto non scontentare nessuno ma farmi guidare dall’azienda nella scelta.

Chi le proposero?

L’azienda, allora, mi propose lo studio Trivoli da dove vengono Andrea Tempestini e Carlo Maria Paolella che ora sono partner di McDermott Will & Emery. Quella è stata la prima volta in cui li ho conosciuti. E con il tempo abbiamo costruito un rapporto di massima fiducia personale e professionale difficilmente ripetibile.

In America con chi lavorate?

In America lavoriamo tantissimo con il team di Kpmg guidato da Frank Mattei che è un professionista di altissimo livello e che opera con un team internazionale solido. E anche con loro abbiamo un rapporto che va avanti da circa 6-7 anni.

E in Italia avete rapporti con Kpmg?

Lavoriamo con KStudio dove c’è Richard Murphy, general manager di altissime qualità professionali e umane. Sul transfer price prima eravamo maggiormente seguiti da Gianni De Robertis, mentre adesso da Samuel Marinelli. Poi ricorriamo anche allo studio Tremonti per il Tax ruling e per alcuni contenziosi.

Questa attenzione al clima è conseguenza della sensibilità femminile o la questione di genere c’entra poco?

Penso che in qualche modo c’entri. Devo dire che per me un professionista esterno può anche essere tecnicamente il migliore del mondo ma se non rispetta il mio team, le mie persone e non ha modi adeguati nei confronti dell’azienda non ha speranze che il rapporto duri. La variabile umana è fondamentale per il successo di ogni progetto.

Cosa significa?

Abbiamo bisogno di persone che credano in quello che fanno e nel progetto a cui lavorano. Il fattore umano, a mio avviso, dà il 50% di possibilità in più di ottenere un successo. Mi è capitato, invece, di essere stata affiancata a consulenti che hanno velleità di parlare solo con il proprietario dell’azienda o solo con l’amministratore delegato, trattando con sufficienza le professionalità interne con cui si dovrebbe invece creare una unica squadra.

Beh forse questo cambierà rapidamente vista la quantità di ex liberi professionisti che si è trasferita in azienda di recente…

Oggi le aziende hanno la possibilità di scegliere e di scegliere il meglio perché gli studi legali hanno meno lavoro, perché i liberi professionisti si sentono meno sicuri. La crisi ha avuto un impatto psicologico enorme. Persone superpreparate, che in passato avrebbero scelto senza esitare una carriera in studio che alla lunga potesse dare maggiori guadagni, oggi preferiscono stare in azienda.

Perché?

L’azienda è capace di valorizzarle, di pagarle bene, di offrire piani sanitari e benefit interessanti. E questo è vero sia per Luxottica sia per tante altre realtà che negli ultimi anni si sono attivate per realizzare piani di retention del personale. Quindi, snobbare soggetti che conoscono molto bene l’azienda e sono preparati tecnicamente, credo che sia quantomeno poco strategico da parte di un professionista esterno.

La crisi ha ribaltato le posizioni di forza tra clienti e consulenti legali?

Secondo me sì. La mia sensazione è che il ribaltamento è stato determinato dall’aumentato potere contrattuale delle aziende conseguente alla riduzione di tutti i budget di spesa. Con budget più bassi c’è meno lavoro. E questo ha accresciuto la competizione tra gli esterni.

Il fatto che alcuni studi si offrano di lavorare a sconto come viene visto? Serve?

Personalmente, apprezzo gli studi che diventano “partner” dell’azienda e con questo atteggiamento riducono le tariffe e mettono a disposizione di un cliente con cui hanno costruito un rapporto nel tempo le proprie skill a prezzi calmierati. E’ vero però che in Italia anche proporsi come “partner” dell’azienda non è detto che serva.

In che senso?

Ci sono studi che hanno dei partner talmente forti da condizionare le scelte delle aziende: la selezione del consulente esterno, in alcuni casi, non viene fatta dal general counsel. Questa è una abitudine soltanto italiana. Anche se, va detto, in molti casi il servizio che si compra è comunque di altissimo livello. Ma il nostro continua a essere un capitalismo di relazione…

Ed è questo che può aver spinto molti studi internazionali a derogare ai loro regolamenti e consentire ai loro soci di sedere in cda?

Mi auguro di no. La cosa peggiore che può accadere, e qui parlo da avvocato, è che una persona che siede in un cda suggerisca uno studio oppure un altro. Succede, ma non va bene. In particolare nel momento in cui siedi in un cda, sarebbe opportuno astenersi dal dare consulenze alla stessa azienda al fine di evitare conflitti di interesse.

Lei come è arrivata al consiglio di gestione di Bpm?

Quando mi hanno chiamata per Bpm lo hanno fatto dicendomi che non trovavano donne con almeno cinque anni di responsabilità di top management in banche o società quotate come richiesto dallo statuto della banca.

Conosceva già il presidente Piero Giarda?

No mai incontrato prima. E prima di accettare ho chiesto il permesso al mio interno e soprattutto ho verificato che non vi fossero incompatibilità di sorta. Poi Giarda mi ha chiamato ed è stato uno dei momenti più belli della mia vita professionale.

Ma cosa può fare un avvocato in cda?

Giarda era interessato alla mia esperienza di M&A e di corporate governance. Ci avviamo verso una stagione in cui le banche dovranno fare molte operazioni su questo fronte. Sono stata subito nominata come independent board member sulla disciplina delle parti correlate. E la prima cosa a cui abbiamo lavorato, dal mio arrivo, è stata la modifica al Regolamento del processo parti correlate e soggetti connessi, nonché al Documento “politiche interne in materia di controlli sulle attività di rischio e sui conflitti di interesse nei confronti dei soggetti collegati”.

Avete discusso ancora del ruolo dello studio Chiomenti?

La richiesta di chiarimento da parte di Consob ha riguardato il “progetto Ovidio” relativo alla trasformazione di Bpm in società per azioni. L’importo pattuito per tale consulenza era contenuto, per cui non ha assunto rilievo ai fini della disciplina e delle procedure in materia di parti correlate, trattandosi di “operazioni di importo esiguo”, in conformità ai criteri fissati dalle disposizioni applicabili.

Quella in Bpm è la prima esperienza in un cda esterno al gruppo Luxottica?

Sì. Ho fatto parte dei consigli di cinque società del gruppo. Tra cui quello della fondazione One Sight, l’associazione che con le sue missioni ingaggia migliaia di volontari qualificati per regalare il dono della vista a 8,4 milioni di persone in 40 paesi, dall’Africa, al Sud America passando per l’India. E devo dire che l’esperienza fatta, in generale, mi ha convinto sempre di più dell’importanza L’intervista della presenza femminile ai vertici aziendali.

In cosa consiste?

Nel fatto che per noi donne l’importante non è emergere o apparire. Per noi l’importante è il risultato. L’importante è fare. Abbiamo un approccio diverso. Gli uomini, invece, tendono più alla “forma”.

Perché ha deciso di lasciare Luxottica?

Amo Luxottica. È un’azienda che mi ha dato tantissimo. Molto più di quanto potessi sperare nella mia carriera.

Però?

Però è anche vero che 10 anni in un’azienda sono un percorso lungo. E a un certo punto bisogna chiedersi se non sia il caso di cambiare…

E lei lo ha fatto…

Sì e credo che sia giusto ricominciare. Mi è capitata l’opportunità di andare all’estero in un periodo in cui mi sarebbe piaciuto farlo e ho colto l’occasione. Poi non nego che l’atteggiamento aggressivo del Fisco italiano mi ha “aiutato” a preferire una multinazionale con sede estera.

Perché?

Trovo in effetti che in questo momento ci sia una pressione eccessiva sulle imprese. Se ciò avvenga a torto o a ragione non voglio discuterlo ora. Certo è un fenomeno che sta avendo effetti vista la quantità di imprese che sposta all’estero, per esempio in Uk la sede fiscale… Io credo che sia necessario un ripensamento. Credo che il fisco italiano dovrebbe o potrebbe avere un dialogo più aperto con gli imprenditori italiani. Sono convinta che sia giunto il momento in cui il tipo di relazione che fino ad oggi c’è stata tra fisco e impresa debba cambiare.

Come lo definirebbe?

Oggi direi che è un rapporto malato. E non nascondo che questa è una cosa che mi ha abbastanza convinta a guardare all’estero. Vero è anche che, però, ciò che mi ha veramente spinto a compiere questo passo è stato, come sempre, il lato positivo.

Ce lo racconta?

Mia figlia che potrà andare a scuola in un contesto internazionale. Mio marito che si troverà benissimo, come professionista di golf, a giocare nei 10 club che ci sono intorno a Ginevra. E per me, la grande sfida di essere una delle poche italiane capo mondo di una società svizzera.

 

 

Gennaro Di Vittorio

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