DDR trasforma la funzione in house in libera professione

Tutto cambia, anche la professione. Tra crisi e nuovi scenari, essere avvocato diventa sempre di più una questione di posizionamento. Scegliere quello giusto è ciò che può fare la differenza tra l’essere uno dei tanti e diventare un punto di riferimento. Daniela Della Rosa (nella foto), ex general counsel di Gucci con trascorsi anche in Levi Strauss & Co. e IBM. confida a Mag, di aver riflettuto molto su tutto questo. «Negli ultimi anni», dice, «il mercato italiano ha conosciuto mutazioni presumibilmente irreversibili. E questo cambiamento ha riguardato anche l’avvocatura». Crearsi nuovi spazi e intercettare una fetta di domanda che ancora non trova un’offerta professionale specifica, a questo punto, diventa la sfida. E la risposta di Della Rosa si chiama DDR. Questo è il nome che l’ex giurista d’impresa ha dato al suo nuovo progetto professionale che non si presenta come uno studio legale qualsiasi ma porta per la prima volta in Italia la consulenza specializzata nella direzione d’affari legali e societari in outsourcing. «La mia scelta smentisce il pregiudizio secondo cui i legali d’azienda scelgono questa professione perché più sicura, da dipendente», dice Della Rosa. «Anche noi siamo in grado di fare impresa mettendo in gioco noi stessi e rinunciando ai benefit del posto fisso».

Partiamo dal principio: cosa propone DDR?

Offriamo una competenza legale funzionale in outsourcing rivolta a tutte quelle aziende che non possono, o non vogliono, sostenere il costo fisso di un legale in house. Ma anche a quelle imprese che, pur avendo un team interno, hanno bisogno di un’attività di training focalizzato. Il motivo può essere il fatto che le risorse interne sono junior o, semplicemente, perché il team ha bisogno di crescere ed evolvere sotto un determinato aspetto, per esempio per internazionalizzarsi.

La funzione che proponete si sovrappone molto a quella del general counsel. Perché secondo lei c’è bisogno anche di questo servizio?

Perché, come già detto, non tutte le aziende hanno un general counsel ma, soprattutto, perché anche il mercato dei legali d’impresa, proprio come ogni altro settore, sta cambiando irrimediabilmente e c’è bisogno di adattarsi a queste novità.

Che cosa intende?

Intendo dire che il mondo del lavoro che conoscevamo, quello fatto di posto fisso, del lavoro che dura per tutta la vita e di retribuzioni garantite, non esiste più. Un po’ per la crisi economica e un po’ per l’avvento della cosiddetta economia globale, il nostro Paese, e le aziende che vi operano, stanno diventando sempre di più le filiali di centri decisionali e direzionali che si spostano in altre nazioni. E questo vale per le aziende come per gli studi legali, che sono vere e proprie società di servizi.

E questo quanto pesa sul lavoro del general counsel?

Molto. Il primo effetto è che oggi le grandi aziende non assumono più un general counsel “per la vita” ma a progetto come, ad esempio, per una fusione, un’acquisizione, un riassetto, una quotazione. Inoltre, con lo spostamento delle sedi centrali di molte aziende all’estero, la figura del legale d’impresa – che già in precedenza nel nostro Paese non era un ruolo core ma di semplice supporto ad altre funzioni – diventa meno decisivo e quindi, nei casi estremi, sacrificabile.

E in questo scenario lei vede degli spazi per il general counsel in outsourcing…

Esattamente. Negli Stati Uniti il ruolo di legale d’impresa è strategico perché lì viene fatta un’analisi di costo/beneficio su tutte le decisioni aziendali.

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Gennaro Di Vittorio

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