Dal legal all’executive: Matteo Baviello e l’evoluzione del giurista, da studio ad azienda
“Le competenze in materia assicurativa sono ancora in fase di sviluppo nei grandi studi legali. Spesso le capacità in house sono migliori”
Il mercato legale in house sta vivendo un’evoluzione senza precedenti: sempre più giuristi d’impresa stanno superando i confini tradizionali del dipartimento legale per assumere ruoli apicali e strategici. Ne è un esempio Matteo Baviello (in foto), oggi direttore generale di AmTrust Assicurazioni, la cui carriera è emblematica di questo percorso ascendente. Dopo una prima esperienza di tre anni in Legance, l’avvocato ha cominciato la sua avventura nel mondo in house come legal and compliance counsel di Zurich Insurance Group nel 2012, per poi passare alla direzione legale di Swiss Life nel 2017. Nel 2019 è approdato in AmTrust Italia come head of legal and corporate affairs, iniziando un rapido percorso di crescita che lo ha visto prima chief legal, governance & people nel 2023 e poi direttore generale nel 2024.
In questa intervista con Inhousecommunity, Baviello racconta le sfide e le opportunità del passaggio da giurista a manager. E ci spiega come, sebbene abbia dismesso ufficialmente i panni del giurista, riesca a mantenere vivo il legame con la professione legale anche nel nuovo ruolo dirigenziale. Per esempio, dicendo la sua sulla scelta dei consulenti esterni.
La sua è una carriera “completa”. Riavvolgiamo la pellicola: partiamo da quando ha lasciato il libero foro per passare al mercato legale in house…
Parlerei in questo caso di evoluzione. La chiave di tutto è comprendere che il passaggio da uno studio legale strutturato alla consulenza in house richiede di essere al tempo stesso cliente e consulente. Per svolgere l’attività in house, bisogna comprendere tutti i meccanismi di business e dei molteplici impatti che una decisione può comportare sulle dinamiche aziendali. Il che significa sia avere una padronanza della disciplina applicabile, sia la capacità di tradurre tale disciplina in specifici consigli di business, senza gravare il destinatario dell’onere dell’interpretazione. Essere un business-partner, quindi, supportando i colleghi dei vari dipartimenti ed edificando al contempo una cultura legale diffusa.
In AmTrust ha ricoperto il ruolo di chief legal, governance & people. Focalizziamoci su “people”. Quanto è complicato, per un legale, occuparsi anche di HR?
La responsabilità delle risorse umane, che sfida! È stato un passo delicato, in effetti, perché il general counsel viene spesso visto come colui che guida decisioni strategiche e non come colui che affianca il capitale umano nel proprio percorso di crescita. Il giurista può essere percepito con sospetto in quel ruolo: anche qui occorre evolversi…
In che modo?
Innanzitutto dando spazio alla convinzione che un’azienda è fatta di persone, e che queste persone, con il loro talento, guidano processi e prendono decisioni. In questo modo anche un legale può dare il suo fattivo contributo alla crescita del capitale umano.
Ma poi è arrivata un’ulteriore promozione: è salito ai vertici del management diventando direttore generale. Si sentiva pronto?
Penso non esista alcuna scuola, percorso o esperienza che prepara ad un ruolo di vertice. Occorre visione d’insieme, capacità di sintesi, determinazione, ascolto, rapidità nelle decisioni e, sì, coraggio. Non nascondo che, durante i primi mesi, ho trascorso delle notti a pensare a come ogni mia azione avesse impatto non solo sul business, ma su singoli individui e le loro famiglie. Occorre quindi eticamente fare le scelte opportune, circondarsi di persone fidate e capaci e non aver paura ad avere al proprio fianco professionisti più competenti.
Che cosa ha portato con sé dell’esperienza legale pregressa?
Al general manager è richiesta la visione di insieme, non la verticalità della conoscenza. Come legale, e soprattutto come segretario del consiglio di amministrazione, questa visione non può mancare. Da questa esperienza sono partito per costruire il mio nuovo cammino professionale.
Dopo il cambio di ruolo, come si è trasformato il rapporto con la direzione legale di AmTrust?
Nel mio caso, diventando general manager, ho dovuto smettere di essere giurista. Oggi, quindi, guardo al team di legali come ai miei consiglieri di conformità, come coloro che – come ho cercato di essere io – supportino le decisioni strategiche. Certo, a volte dico la mia, ma lascio che ciascuno possa dare il suo contributo. Alla fine il successo è del team.
Per esempio, dice la sua nella scelta dei legali esterni?
Per l’ordinaria amministrazione lascio ampia discrezionalità ai miei collaboratori, nel rispetto ovviamente delle politiche aziendali. Sulle questioni più delicate e strategiche la scelta del consulente è condivisa. Non nego di essere legato a studi come Villata, Degli Esposti e Associati, dove ho mosso i primi passi da praticante, che ci assiste sulle questioni legate alla contrattualistica pubblica e al contenzioso amministrativo. Così come a Legance, dove sono diventato avvocato, per le questioni più strategiche, e a Cappelli RCCD per le tematiche legate alla disciplina regolamentare.
E come azienda attiva nel settore delle assicurazioni, riuscite sempre a farvi affiancare da consulenti sufficientemente competenti?
Di fatto, le competenze in materia assicurativa sono ancora in fase di sviluppo anche nei grandi studi legali. Spesso notiamo come le competenze in house siano maggiori. Per il nostro core business, la medical malpractice, alcune boutique legali sono altamente specializzate, come lo studio Taurini Hazan Martini Rodolfi. Inoltre, ho creato in questi anni rapporti di fiducia con avvocati che mi consigliano fuori da ogni specifica materia. Tra questi, boutique come lo studio dell’avvocato Francesco Napolitano, l’avvocato Mario Violetta e lo studio Calloni Ambrosoli. Consiglieri fidati.
Sotto la sua guida, AmTrust sta attuando una diversificazione: non più solo assicuratore specializzato di medici e strutture sanitarie, ma anche dell’universo legale. Ci spiega meglio?
Parto dalla fine: quando si assume un ruolo di vertice occorre spogliarsi dell’approccio legale (che chiaramente rimane, ma non deve prevalere, bensì arricchire). Lo sviluppo del business segue altre dinamiche e logiche. Il nostro processo di diversificazione del business beyond medmal apre a nuove aree della responsabilità professionale: avvocati, commercialisti e presto le professioni tecniche. Nel mondo delle professioni legali, tra gli obiettivi di piano c’è quello di accrescere la quota di mercato di AmTrust tramite soluzioni innovative e competitive. La conoscenza del mondo legale sicuramente aiuta a sviluppare soluzioni dedicate anche a studi strutturati.
A cosa non sono ancora pronti i giuristi in house quando si tratta di gestione dell’impresa?
Occorre distinguere, a mio avviso, tra chi cresce in azienda e chi proviene da grandi studi. I primi ravvisano più criticità ad un approccio critico alla materia, limitandosi a volte al dettato normativo, tralasciando la sua interpretazione per calarla nella contingente situazione di business. I secondi corrono il rischio di eccedere nella consulenza, non riuscendo da subito ad essere, come dicevo, cliente e consulente al tempo stesso. Quello che mi preoccupa guardando al futuro – e questo riguarda la professione a 360 gradi – è l’iper specializzazione: la conoscenza verticale a discapito di una piena padronanza dei principi generali. Ogni materia, per quanto sia specialistica, parte da quei principi ed ivi si risolve. Se non torniamo ad una cultura giuridica meno settoriale, l’intelligenza artificiale facilmente sostituirà molti professionisti.
Se dovesse immaginarsi una scuola per giuristi d’impresa, quali corsi sicuramente inserirebbe nella programmazione accademica?
Fondamentali sono la lettura e la comprensione del bilancio. Ricordo le mie lezioni in Cattolica con il Prof. Colombo: riga per riga la lettura di un bilancio. Quale tesoro! Poi la gestione della governance e degli organi sociali: un giurista d’impresa deve conoscere da subito la catena decisionale. E da ultimo, ma non perché meno importante, occorre saper scrivere e comunicare: il legale d’azienda è colui che fornisce pareri che guidano le scelte strategiche, colui che interagisce con gli organismi e le autorità di controllo, colui che predispone le comunicazioni sensitive verso l’esterno. Le norme possiamo dimenticarle, sono contenute in codici e regolamenti. La penna occorre possederla.