Il Contratto Collettivo non può vietare il lavoro intermittente
Con il contratto di lavoro intermittente un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro, che ne può utilizzare la prestazione in modo discontinuo o – per l’appunto – intermittente, anche solo in periodi predeterminati della settimana, del mese o dell’anno.
La legge prevede che le parti sociali, e di conseguenza la contrattazione collettiva (anche decentrata), abbiano il potere di individuare le esigenze che giustificano il ricorso al lavoro intermittente. Questo, tuttavia, significa che possono anche vietarne l’utilizzo?
La Cassazione, con la recentissima sentenza n. 29423 del 13 novembre 2019, ha chiarito che la risposta a tale quesito non può che essere negativa, smentendo in tal senso il Ministero del Lavoro, che nel 2016 si era pronunciato ufficialmente per la legittimità di tale potere di veto.
La disciplina del lavoro intermittente è stata introdotta nel 2003 e, dopo vicende contrastanti (per un certo periodo è stata anche abrogata), è andata a confluire nel decreto sul riordino dei contratti del 2015. In sostanza, la legge prevede ipotesi alternative di ricorso al contratto di lavoro intermittente, che può essere stipulato (i) «secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi» o, in mancanza di contratto collettivo, nei «casi di utilizzo … individuati con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali»; (ii) oppure, in alternativa, con soggetti con meno di 24 anni di età, purché la prestazione termini entro il 25° anno, o con più di 55 anni. L’ipotesi principale di ricorso al lavoro intermittente, quindi, è costituita dalle «esigenze individuate dai contratti collettivi», essendo gli altri due criteri legali (casi individuati con Decreto del Ministero del Lavoro ed età del lavoratore) solo sussidiari.
Tale rinvio alla disciplina collettiva, secondo la Cassazione, non giustifica però un potere di veto e concerne solamente l’individuazione delle esigenze legittimanti, compito che – nell’ottica del legislatore – nessuno è maggiormente in grado di svolgere se non le parti sociali, “per la prossimità allo specifico settore oggetto di regolazione”.
Sotto il profilo sistematico, poi, l’assunto che le parti sociali possano impedire del tutto l’utilizzazione del lavoro intermittente risulta smentito già dalla normativa in materia, che prevede un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del Lavoro, “previsione che denota in termine inequivoci la volontà del legislatore di garantire l’operatività del nuovo istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti collettive”. Né, d’altra parte, tra le ipotesi di divieto del ricorso al lavoro intermittente viene contemplata in alcun modo anche quella di inerzia o veto delle parti collettive.
Da ultimo, si precisa che la vicenda oggetto di attenzione da parte della Cassazione riguardava il comparto Autotrasporto Merci e Logistica, nel cui contratto collettivo esisteva un espresso divieto di ricorso al lavoro intermittente, rimosso solamente con il rinnovo contrattuale del 2017. Tale divieto, peraltro, aveva già dato origine al pronunciamento del Ministero del Lavoro del 2016 cui si è fatto cenno sopra.
Può essere interessante notare che un divieto di contenuto analogo esiste ancora anche in altri contratti collettivi (quale, ad esempio, quello per i quadri e gli impiegati degli istituti di credito), che a questo punto non potranno non misurarsi con il criterio fissato dalla Cassazione.
A cura di
Gianluca Crespi, Partner, Elexia avvocati e commercialisti
Federico Trombetta, Senior Associate, Elexia avvocati e commercialisti
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