Cala l’attrattività del lavoro in house

Aumenta invece il fascino del libero foro, complici gli stipendi più alti e l’aumentata flessibilità. MAG rivela i dati della nuova ricerca firmata Taylor Root

di michela cannovale

QUESTO ARTICOLO COMPARE NELL’ULTIMO NUMERO DI MAG

Si raffredda l’attrazione verso il mercato legale in house, mentre aumenta quella verso il libero foro: è quanto conclude l’ultima ricerca condotta da Nicoletta Ravidà (nella foto in basso), director e head of southern Europe di Taylor Root, secondo cui i primi tre mesi del 2023 hanno dato prova di una diminuita volontà allo spostamento da parte dei giuristi d’impresa.

Nonostante l’offerta di lavoro rimanga alta – soprattutto in alcuni settori che negli ultimi anni hanno manifestato una particolare vivacità, come quelli dell’energy e del pharma – i candidati non sembrano essere altrettanto attivi.

«La differenza che abbiamo notato rispetto al 2022 – ha spiegato Ravidà, interpellata da MAG – è che i candidati sono meno propensi nel prendere in considerazione il trasferimento verso una nuova azienda. Spesso, anzi, decidono di rimanere fermi, anche dopo aver completato con successo un processo di reclutamento lungo e complesso. Abbandonare la zona di comfort, insomma, è una decisione che non viene presa volentieri né facilmente».

Attrarre nuovi talenti è sempre più difficile per le aziende

Le ragioni sono diverse. Al primo posto emergono l’aumento dei tassi d’interesse, l’inflazione, la minaccia della recessione dietro l’angolo, e quindi il timore di un’insicurezza da parte dei lavoratori. «Con un aumento dell’inflazione pari al 10% sul territorio nazionale – ha sottolineato ancora Ravidà – la vita nelle principali città italiane è sempre più costosa. Attrarre talenti dai comuni più piccoli sta diventando problematico e le aziende non sono in grado di coprire il divario nel costo della vita tra una città e l’altra, il che riduce ulteriormente il bacino di candidati disponibili».

Per questo stesso motivo, se nel periodo immediatamente post pandemia i dipendenti richiedevano ai loro datori di lavoro innanzitutto flessibilità e smart working, ora il deal breaker è tornato ad essere la retribuzione.

Eppure, per quanto lo stipendio sia diventato la priorità, anche a fronte di offerte economiche competitive, il gioco non sempre vale la candela. Non tanto, almeno, da mettersi alla prova in una nuova azienda.

MAG ha chiesto a Federico Corti, senior legal counsel di NTT Data, di raccontare la sua recente esperienza. «Un anno fa circa venivo contattato da un’importante azienda del settore del design (non stavo facendo al tempo ricerca attiva). Gli incontri sono stati tre: il primo con l’HR, il secondo con il general counsel e infine con il CFO. Il tutto è durato circa un mese e mezzo. La posizione era molto interessante, sia come opportunità di crescita, sia come RAL (circa 20% in più). L’azienda offriva inoltre una serie di benefit aggiuntivi, comunque non diversi né ulteriori a quelli che già avevo. Tuttavia ho rinunciato, soprattutto perché avevo la sensazione che, rimanendo nell’azienda attuale, avrei comunque trovato spazio per crescere ancora e raggiungere i miei obiettivi personali. Ho preferito dare fiducia ad un contesto che già conoscevo, rispetto ad uno nuovo, per quanto interessante fosse. Non ho visto in quell’occasione un cambio di vita professionale che risultasse realmente allettante, se messo sulla bilancia con quello che già avevo in termini di qualità delle mansioni, ambiente di lavoro e contesto di crescita».

Questo stesso scenario è stato confermato anche da Francesca Caleprico (nella foto appena sopra), manager e responsabile della divisione tax & legal di LHH, società di ricerca e selezione di profili di middle, senior & top manager ed executive, che ha MAG ha detto: «C’è offerta di lavoro nel mercato legale in house, ma c’è anche carenza di candidati. Le persone, per diverse ragioni, stentano a muoversi. Magari iniziano il processo di selezione per una nuova azienda, partecipando a tutti gli step selettivi, per poi ritirarsi a metà dell’iter o alla fine, rifiutando l’offerta anche di fronte a un compenso più alto o benefit validi. Da quello che possiamo notare, la ragione principale è anche legata a un eccesso di offerta, motivo per cui il candidato pensa che ci sarà sempre qualcosa di meglio in futuro, e quindi temporeggia. Molti lavoratori scelgono persino di affrontare più iter selettivi contemporaneamente, arrivando alla fine dei processi con parecchia indecisione che porta a rifiutare tutte le opportunità. Ma ci sono anche ragioni personali, dovute a resistenza al cambiamento in generale, mancanza di desiderio di assumersi il rischio di un cambiamento, difficoltà ad uscire dalla propria zona di comfort».

Aumenta l’attrazione verso il libero foro

Ma se si raffredda l’attrazione verso l’attività legale d’impresa – scrivevamo all’inizio – lo stesso non si può dire del libero foro. Nei primi mesi di questo 2023 si sta infatti confermando un’inversione di tendenza rispetto al passato, quando molti avvocati hanno lasciato la private practice per il mercato in house a causa della mancanza di equilibrio tra vita privata e vita professionale.

Gli studi legali, negli ultimi anni, hanno migliorato i tassi di fidelizzazione dei loro partner concedendo maggior flessibilità in un contesto dove gli stipendi erano comunque già più alti rispetto a quelli aziendali (e in cui si sono ulteriormente alzati, come emerge dall’ultimo rapporto Censis sull’Avvocatura, con un incremento medio annuo che nel 2021 è arrivato al 12,2%, portando il valore a 42.386 euro).

E così, quando si tratta di libero foro, i candidati risultano maggiormente disposti ad accettare nuove opportunità lavorative.

«Negli studi legali si è creato un mix vincente: equilibrio tra vita privata e lavorativa, stipendi che aumentano e recenti politiche governative volte a ridurre le tasse pagate dai liberi professionisti (l’aliquota del 15% per tutti i redditi compresi fra zero e 85mila euro, infatti, permette di raggiungere retribuzioni altissime, spesso superiori a quelle di un dirigente d’azienda). Nel frattempo, gli stipendi in azienda non sono cambiati. Questo rende il mercato in house meno allettante di un tempo», ha spiegato Ravidà.

Parole a cui ha fatto nuovamente eco Francesca Caleprico, che ha aggiunto: «Gli studi legali hanno assunto consapevolezza delle richieste di maggior flessibilità e smart working da parte dei collaboratori, trasformandosi in realtà lavorative di fatto più human-centered rispetto a quelle aziendali. Senza contare che la possibilità di crescita professionale che può avvenire all’interno di uno studio è molto più alta e rapida rispetto a quella che può verificarsi in contesti aziendali».

«Ecco perché – ha precisato infine Caleprico – le aziende dovranno adattarsi a questo cambiamento. E il loro driver principale, visto che generalmente concedono già maggiore flessibilità e più benefit rispetto agli studi, è quello economico: occorre aumentare le retribuzioni. E in parte sta già succedendo: le offerte di compenso sono molto più alte rispetto a qualche anno fa».

michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

SHARE