Avvocati, è meglio lavorare in azienda o in studio?

È meglio lavorare in azienda o in studio? È un interrogativo questo che, almeno una volta nella vita, si pongono tutti gli avvocati. Del resto, fare il giurista d’impresa o il consulente in una law firm sono due cose molto diverse, anche se appartenenti alla stessa famiglia legale.

Ma più che sulle differenze di attività, vorrei focalizzare questa riflessione sulla qualità della vita offerta dai due sbocchi professionali.
Un tempo si diceva che lavorare in azienda fosse la scelta migliore per avere un sano equilibrio tra vita personale e professionale, ma negli ultimi anni le cose stanno cambiando. Per rispondere alla sempre più comune richiesta di tagliare i costi, molte direzioni affari legali hanno internalizzato numerose attività. I giuristi d’impresa oggi rispondono a un numero crescente di richieste e nel minor tempo possibile (perché, è risaputo, “il tempo è denaro”). Inoltre, il moltiplicarsi delle esigenze legali in azienda ha richiesto ai professionisti in house di occuparsi di una serie di tematiche aggiuntive, tra cui la compliance e la privacy. Queste nuove materie sono rientrate nel perimetro di competenza dei legali interni, aggiungendosi e non sostituendosi a quelle già preesistenti. La grande expertise ed esperienza dei general counsel li ha sempre più spesso portati poi a essere richiesti anche nei contesti decisionali e centrali delle loro aziende, come i consigli di amministrazione, di cui sempre più spesso sono membri o segretari.
Il Covid-19 ha poi ulteriormente impegnato i giuristi d’impresa, chiedendo loro di misurarsi con richieste inedite e cangianti.
Detto questo, non è più così immediato stabilire cosa garantisca una migliore qualità della vita tra la libera professione e la carriera manageriale in azienda. Anche perché gli studi d’affari stanno investendo sempre di più nel benessere delle proprie risorse. Una cosa è certa, per chi fa queste professioni “sorelle”: l’erba del vicino sembra sempre più verde.

Gennaro Di Vittorio

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