Avvocate, c’è una lucina in fondo al tunnel

Confrontarci con policy scritte potrebbe portare a quel cambiamento culturale tanto ambito

di michela cannovale

QUESTO ARTICOLO COMPARE NELL’ULTIMO NUMERO DI MAG, SCARICABILE GRATUITAMENTE A QUESTO LINK

Che per le avvocate donne sia più difficile ottenere posizioni di partnership è ormai un fatto. In un articolo del numero 203 di MAG uscito lo scorso giugno che delineava lo stato dell’arte nei primi 50 studi d’affari in Italia, vi raccontavamo non solo che la percentuale di professioniste attive in queste realtà è rimasta tale e quale ai livelli dell’anno scorso (43%), ma anche e soprattutto che se “se si guarda alla percentuale di socie sul totale dei componenti delle partnership, addirittura, si evidenzia anche un lieve calo con il passaggio dal 22% al 21% delle avvocate”.

È vero, anche le avvocate crescono, ma il più delle volte solo fino a ricoprire ruoli che le rendono semplici professioniste super senior – e non, invece, posizioni che consentono di accedere agli utili della firm.

Il rapporto Aiga sulla giovane avvocatura pubblicato di recente ci ricorda che le cose, rispetto a giugno, non sono mutate manco per scherzo: le donne con meno di 35 anni titolari di uno studio legale sono il 5% del totale, quelle tra i 35 e i 40 anni sono il 12% e quelle con un’età superiore ai 40 sono il 10%.

Per carità, mica si può pretendere che il mondo cambi in pochi mesi, ma se davvero dovesse entrare in gioco anche l’età come ulteriore limite per diventare socie, come racconta il direttore Nicola Di Molfetta nel suo editoriale, beh, buonanotte ai suonatori! Donne, questo mondo sembra volerci costringere ad alzare bandiera bianca.

Ma ogni tanto viene accesa una lucina in fondo al tunnel. Ed è, questa volta, la lucina delle certificazioni sulla parità di genere, che ci ricordano che un impegno affinché il mondo cambi, pur con i suoi ritmi da lumaca, c’è. Questo è un aspetto importante, e per spiegarvelo non avrei saputo utilizzare parole migliori di quelle pronunciate da Raffaella Quintana (in foto), partner di DLA Piper, durante l’ultima puntata di Diverso sarà lei: «Noi pensiamo che la certificazione sia un passaggio rilevante perché costringe le organizzazioni a formalizzare degli impegni. Le costringe ad avere a che fare con dei meccanismi di misurazione che in un primo momento possono sembrare soltanto formali, visto che tutte le aziende ritengono di essere inclusive, ma spesso la forma diventa sostanza. E il fatto di doversi confrontare con delle policy scritte è fondamentale per ottenere dei cambiamenti culturali, che diventano necessari quando si pensa alle problematiche di genere».

Le certificazioni hanno però un paradosso quando vengono date agli studi legali… Non vi spoilero niente. Buon ascolto a tutti!

michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

/ 0

SHARE