Arbitrato e moda si incontrano a Milano

di giuseppe salemme

Il prossimo 25 novembre è la data scelta dalla Cam – Camera arbitrale di Milano per la sua tredicesima conferenza annuale. L’evento, che ogni anno mette in primo piano uno dei temi caldi relativi al mondo della risoluzione alternativa delle controversie, quest’anno è dedicato al mondo della moda: “The devil wears arbitration – Litigating in the fashion industry” il titolo.

Una scelta presto spiegata: se l’industria della moda è da sempre un grande traino per l’Italia in generale, e per Milano in particolare (dei 93 miliardi d’euro l’anno di giro d’affari nazionale complessivo, oltre 17, e quindi il 18,7%, sono concentrati nel capoluogo lombardo), è anche vero che la nota litigiosità dei brand di moda (e del mondo IP in generale) trova sempre più spesso rifugio nell’arbitrato: negli ultimi 5 anni, sono state 22 le domande di arbitrato legate al tema della moda depositate alla Cam, per un valore totale delle controversie di circa 273 milioni di euro. Un procedimento su due, in questo settore, ha carattere internazionale (cioè ha almeno una parte straniera), e nel 40% dei casi, fa sapere Cam, l’impresa ricorrente è attiva nel segmento luxury.

Una giusta attività di divulgazione sulle possibilità offerte dallo strumento arbitrale alle imprese della moda può essere quindi strategica per tutti gli stakeholder del comparto.

A maggior ragione adesso che la riforma Cartabia (legge n.206 del 26 novembre 2021) ha ulteriormente potenziato il ruolo delle forme di Adr (alternative dispute resolution) come l’arbitrato, aumentando le garanzie e incentivandone l’utilizzo in quanto procedure pienamente alternative a quelle delle corti ordinarie.

A poco meno di un mese dalla conferenza annuale, MAG ha fatto quattro chiacchiere con il direttore generale della Cam Stefano Azzali (in foto).

Il titolo della conferenza mette in risalto un certo rapporto “privilegiato” tra fashion industry e arbitrato. Da dove crede che derivi?
Le imprese del segmento fashion sperimentano e comprendono sempre di più come le controversie in fatto di moda non solo è normale e fisiologico che insorgano (come in ogni altro settore), ma siamo anche particolarmente delicate e complesse. Richiedono competenze tecniche, tempismo nella risoluzione della lite e una particolare attenzione alla riservatezza delle parti: tutte caratteristiche tipiche dell’arbitrato.

Quali tipi di controversie avete riscontrato essere i più diffusi tra quelli risolti tramite arbitrati?
Circa il 40% dei procedimenti Cam degli ultimi anni con protagonisti player della moda ha riguardato problemi legati alla distribuzione, alla tutela della proprietà intellettuale e dei marchi e alla cooperazione commerciale. Abbiamo anche una storia recente fatta di molti casi di cd. cybersquatting, cioè l’accaparramento illecito di siti web con nomi identici o confondibili con marchi registrati. Per questo tipo di problematiche, abbiamo dal 2008 attivo il servizio di riassegnazioni dei nomi a dominio “.it”, che si è dimostrato nel tempo un mezzo prezioso per le aziende. Tutte le 27 procedure di riassegnazione avanzate in questi anni da parte di aziende di lusso (tra cui Prada, Calvin Klein, Armani e Bottega Veneta), si sono infatti concluse positivamente per i reclamanti.

Le aziende di moda sono anche state tra le prime a lanciarsi nel mondo delle nuove tecnologie, Nft e metaverso su tutte. Ritiene che l’arbitrato si rivelerà un mezzo adatto anche alla risoluzione delle controversie derivanti dallo sfruttamento di questi nuovi strumenti?
L’arbitrato è di per sé uno strumento innovativo e per le sue caratteristiche di adattabilità e flessibilità…

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michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

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