AI Act e trasparenza salariale, imprese in ritardo sulla compliance: i dati del report Littler

Mentre l’Europa si prepara a introdurre alcune delle normative più rilevanti degli ultimi anni in materia di lavoro e tecnologie, le imprese europee si trovano a gestire un livello crescente di incertezza. Da un lato, l’entrata in vigore dell’AI Act e della Direttiva sulla trasparenza retributiva; dall’altro, la svolta politica statunitense che sta già producendo effetti anche sul vecchio continente. È il quadro che emerge dall’European Employer Survey Report 2025 di Littler, studio legale internazionale specializzato in diritto del lavoro, basato sulle risposte di oltre 400 professionisti HR e figure di leadership aziendale.

Preparazione insufficiente verso AI Act e trasparenza retributiva

Il sondaggio rileva che le imprese europee non appaiono pronte ad affrontare gli obblighi derivanti dalle nuove norme UE. Solo il 18% degli intervistati considera la propria azienda “molto preparata” a rispettare l’AI Act, mentre un significativo 20% dichiara di non esserlo affatto. Un dato che non mostra progressi rispetto allo scorso anno.

Il quadro italiano offre una sfumatura diversa: il 79% dei rispondenti afferma di aspettarsi una revisione delle mansioni alla luce dell’introduzione dell’intelligenza artificiale, la percentuale più alta in Europa. La riflessione c’è, ma mancano ancora interventi strutturali.

“Se la survey da un lato suggerisce una mancanza di preparazione riguardo all’AI Act preoccupante, considerando l’ampiezza degli obblighi richiesti e le sanzioni significative previste in caso di violazione” racconta Carlo Majer (in foto a destra), che con Edgardo Ratti (in foto a sinistra) è co-managing partner di Littler in Italia, “dall’altro fotografa una situazione italiana diversa dal resto dell’Europa. Se ancora concretamente non si è fatto molto, è evidente che i team HR si stanno interrogando, approfondendo il tema, su cosa fare soprattutto in relazione al cambio di mansioni dei dipendenti”.

Non va meglio sul fronte della pay transparency: solo il 24% delle aziende dichiara di essere molto preparato ad applicare la direttiva, un leggero aumento rispetto al 21% dell’anno precedente. Tre imprese su quattro non hanno ancora effettuato audit retributivi completi né verificato l’esistenza di strutture salariali basate su criteri neutrali rispetto al genere.

Oltre alla lentezza dei governi nazionali nel recepire le direttive, pesa anche la mancanza di iniziative interne: molte aziende non hanno avviato task force, revisioni dei processi o analisi dei casi d’uso dell’AI.

L’impatto delle nuove politiche statunitensi

I cambiamenti introdotti dall’amministrazione Trump – soprattutto in materia di immigrazione e programmi IE&D (inclusione, equità e diversità) – hanno immediate ripercussioni anche per le imprese europee attive negli Stati Uniti.

Tra le aziende europee con presenza o piani di espansione oltreoceano, il 75% dichiara di aver già adottato misure correttive. In Italia la quota sale all’81%. Le azioni più diffuse includono la limitazione dei viaggi verso gli USA e la riduzione delle attività sul territorio americano.

“Le nuove politiche USA stanno creando ostacoli significativi per le imprese europee con operazioni negli Stati Uniti, che devono rivedere piani di viaggio, contratti, investimenti e opportunità di crescita” aggiunge Stephan C. Swinkels, partner Littler e co-lead global practice.

Le pressioni normative hanno effetti anche sui programmi IE&D. Il 69% delle aziende con iniziative attive sta valutando tagli o riposizionamenti, con percentuali ancora più elevate in Italia. Il 79% segnala difficoltà nel conciliare le differenze tra il quadro normativo europeo, generalmente più favorevole, e quello statunitense, oggi più restrittivo.

Ritorno in ufficio: la spinta cresce, ma l’ibrido resta cruciale

La tendenza a richiamare i dipendenti in ufficio continua a consolidarsi. Il 63% delle aziende con ruoli adatti al lavoro da remoto ha aumentato o prevede di aumentare le giornate di presenza. Un quarto del campione ha già imposto o sta valutando la presenza in ufficio cinque giorni a settimana.

Nonostante ciò, il lavoro ibrido rimane un asset strategico: il 73% lo ritiene essenziale per attrarre talenti. Le dinamiche, tuttavia, variano per area geografica: il mondo anglosassone è il più rigido (44% segnala un aumento delle ore in presenza), mentre l’Italia mantiene un approccio più misurato (37%). La Germania registra il livello più basso (28%).

“Per le aziende che intendono aumentare la presenza in ufficio, è fondamentale definire criteri chiari e comunicare aspettative e conseguenze di eventuali mancati adeguamenti. Questo è un momento storico unico, in cui si sta costruendo la nuova cerniera tra le aspettative dei datori di lavoro e quelle degli attuali, ma soprattutto futuri, dipendenti. Il futuro delle organizzazioni passerà senz’altro anche da questo nuovo equilibrio” conclude Ratti.

Comitati aziendali e sindacati: i temi sul tavolo

Il report segnala infine che comitati aziendali e sindacati restano interlocutori centrali nella gestione della forza lavoro. I tre temi più discussi nell’ultimo anno sono:

  • lavoro da remoto/ibrido (47%)
  • salute mentale e benessere (46%)
  • intelligenza artificiale (44%)

Le priorità variano però per Paese:

  • Regno Unito in testa sul lavoro ibrido e sulle politiche IE&D
  • Spagna concentrata sulla salute mentale
  • Germania focalizzata sull’AI
  • Italia più attenta alla sicurezza sul lavoro

michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

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