Brevetti: in Italia solo uno su sette appartiene a una donna

La regione con il più alto tasso di inventrici è la Sardegna (27,9%). In fondo alla classifica la Provincia Autonoma di Bolzano (4,3%)

Dalla rubrica Diverso sarà lei

di michela cannovale

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Katalin Karikó ha vinto quest’anno l’European Inventor Award per la carriera. Un premio che, per il prestigio che riveste, è considerato praticamente alla pari di un Oscar. La scienziata ungherese naturalizzata statunitense, classe 1955, vicepresidente di BioNTech, se lo è guadagnato dopo essersi distinta come pioniera dei vaccini mRna che hanno salvato dal Covid-19 milioni di persone in tutto il mondo. Anche la spagnola Elena García Armada ha vinto lo stesso premio. Il suo merito è quello di aver sviluppato un esoscheletro robotico adattabile per i bambini in sedia a rotelle che permette loro di camminare durante la terapia di riabilitazione muscolare.

Di donne come Katalin ed Elena, le cui invenzioni hanno letteralmente cambiato l’aspettativa di vita dell’essere umano, ce ne sono tante. Eppure, come dimostrano i dati forniti dal European Patent Office (EPO) sulle differenze di genere nel campo dell’innovazione, le scienziate rappresentano solo il 13,2% degli inventori nelle domande di brevetto presentate in Europa nel periodo 2010-2019.

Certo, la percentuale è cresciuta parecchio negli ultimi decenni (pensate che era solo il 2% alla fine degli anni Settanta), però… Però, ahinoi, il divario di genere è ancora ampio. E ti pareva!

L’Italia a confronto con il resto dell’Europa

Un esempio lampante, parlando di divario nell’innovazione tecnologica, è proprio l’Italia, dove solo un inventore su sette è di genere femminile tra coloro che hanno richiesto un brevetto nel Vecchio Continente, e cioè unicamente il 14,3% del totale nel periodo compreso tra il 2010 e il 2019. Con questa percentuale, solo leggermente più alta della media europea, il nostro paese si posiziona sedicesimo tra gli Stati membri EPO. Come sempre, peraltro, all’interno del territorio italiano le differenze sono evidenti. La regione con il più alto tasso di inventrici nelle domande di brevetto è la Sardegna (27,9%), mentre in fondo alla classifica c’è la Provincia Autonoma di Bolzano (4,3%).

Punteggi superiori a quello dell’Italia si registrano in Lettonia (dove il 30,6% dei brevetti è stato richiesto da donne), Portogallo (26,8%), Croazia (25,8%), Spagna (23,2%), Lituania (21,4%), Francia (16,6%), Belgio (15,8%) e Cipro (15,1%). Agli ultimi posti si trascinano invece a fatica Austria (8,0%), Germania (10,0%) e Paesi Bassi (11,9%).

Il fattore team e altre cose importanti

Tra le scienziate italiane balzate agli onori della cronaca nel settore dell’innovazione compaiono i nomi di Virna Cerne e Ombretta Polenghi, nominate per l’European Inventor Award del 2016 per aver ideato un brevetto gluten-free nel campo della nutrizione. Insieme a loro è stato nominato anche il resto del team dell’azienda altoatesina per cui lavorano, la Dr. Schär, colosso degli alimenti per celiaci in Italia (suo, quello stesso anno, ben il 47% del fatturato complessivo nazionale).

Il fatto che fossero in un team non è un caso. I dati EPO rivelano infatti che è più probabile che le donne inventrici si trovino nei team di inventori che non tra gli inventori indipendenti. Non solo. È più alta anche la probabilità che le donne che richiedono un brevetto provengano da università ed enti pubblici rispetto ad imprese private (27,9% contro 10,5% in Italia nel 2010-2019).

Altro fattore importante è il settore tecnologico per cui si fa richiesta di brevetto. La chimica, nello specifico, sembra essere quello in cui si concentra la più alta quota di inventrici (22,4% in tutta Europa, 27,3% in Italia), contro la bassissima percentuale registrata per l’ingegneria meccanica (5,2% in tutta Europa e in Italia). Pensate che, solo nel settore della chimica, le domande di brevetto nelle biotecnologie e nei prodotti farmaceutici hanno percentuali di oltre il 30% di donne tra gli inventori europei.

Alla ricerca di una spiegazione

Stanti così le cose (maggior presenza di richieste di brevetti dai team, dalle università e nel settore chimico), possiamo tentare di capire come mai i brevetti scientifici sono un altro ambito di pertinenza soprattutto maschile.

Tre gli elementi da considerare, secondo l’EPO: 1) le donne che lavorano in università sono generalmente poco collegate all’industria e raramente intessono rapporti “d’affari”, restando piuttosto confinate a modelli di carriera tradizionali; 2) lavorando in team, hanno a che fare con maggiori barriere alla promozione e rimangono sottorappresentate; 3) le donne, c’è da dire, fanno generalmente meno invenzioni perché sono più giovani e occupano posizioni meno senior, e quindi, di base, non hanno potere. E anche quando si ritrovano ad essere autrici di invenzioni, visto che nella maggior parte dei casi guadagnano meno dei loro colleghi di sesso maschile, non possono permettersi di ottenere e mantenere i diritti dei brevetti (ebbene sì, anche la proprietà intellettuale ha un prezzo).

Lungi dall’offrici una soluzione per arrivare alla parità di genere, questi elementi ci danno modo di riflettere. La prima considerazione che, in quanto donna, mi viene in mente è la seguente: a causa della scarsa partecipazione femminile alle attività inventive legate ai brevetti, la società ha perso (e continua a perdere) diverse occasioni di godere di innumerevoli beni, farmaci e servizi diversi da quelli attualmente presenti. Secondo una recente ricerca statunitense (Bell et al., 2019), per esempio, il numero di brevetti potrebbe addirittura quadruplicare se le donne (e soprattutto quelle provenienti da famiglie a basso reddito) riuscissero a produrre invenzioni allo stesso ritmo degli uomini. Anche perché – e solo per alcuni sarà una conclusione ovvia – minore è il numero di inventrici donne, minore sarà anche il livello di inclusività della tecnologia con cui tutti noi abbiamo ogni giorno a che fare.

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michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

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