Paternity leave: così si riduce il gender gap sul lavoro
di michela cannovale
In occasione di questo MAG parliamo di congedi parentali in Italia. Se in tema di periodo di maternità risultiamo (abbastanza) in linea con l’Europa e il Nord America, lo stesso non vale per quello di paternità, che ci vede ancora indietro rispetto agli altri Paesi del continente. E a risentirne non è solo l’equilibrio dei ruoli genitoriali all’interno del nucleo familiare, ma anche la stessa economia nazionale.
Congedo di maternità: ci siamo
La normativa attuale, in Italia, prevede per le lavoratrici dipendenti cinque mesi di congedo di maternità (di cui due precedenti e tre successivi alla data del parto, oppure un mese precedente e 4 successivi) con un’indennità pari all’80% della retribuzione. Ai neo-padri lavoratori, invece, sulla base del recentissimo Decreto Legislativo del 30 giugno 2022 n. 105 recante l’attuazione alla direttiva Ue 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori, spettano dieci giorni di congedo obbligatorio in aggiunta a un giorno facoltativo con un’indennità pari al 100%.
Secondo il report internazionale “Global Family Leave and Pay” realizzato dallo studio legale Dentons mettendo a confronto 85 paesi a livello globale, l’Italia è, in tema di congedi di maternità, in linea con la maggior parte degli altri membri Ue e degli Stati di Nord America e Canada: quasi la totalità dei questi, infatti, prevede un periodo obbligatorio di astensione dal lavoro prima e dopo il parto più o meno simile al nostro. Certo, come sempre accade, anche in questo caso c’è chi fa meglio e chi fa peggio. Tra i paesi più virtuosi abbiamo Polonia (con 26 settimane di congedo di maternità pagato al 100% e altre 26 pagate tra il 50 e il 100%), Slovacchia (34 settimane pagate al 100%) e Cile (30 settimane al 100%).
Congedo di paternità: l’Italia rincorre a fatica gli altri Paesi
Diverso invece il discorso relativo al congedo di paternità. Se è vero che l’Italia si sta negli ultimi anni avvicinando alle richieste europee, il congedo previsto per i neo-padri è ancora troppo limitato se paragonato a quello di Slovacchia, Finlandia, Spagna, Norvegia e Olanda, dove vengono concesse fino a 28 settimane retribuite tra il 50% e il 100%.
La legislazione italiana, d’altronde, è molto recente sul fronte del congedo di paternità, e a questo si deve la sua frammentazione. Si pensi solo che era il 28 giugno 2012 quando, con la famosa legge n. 92 della ministra Elsa Fornero, il congedo di paternità è entrato per la prima volta nel nostro ordinamento stabilendo che “al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo la cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in via sperimentale per gli anni 2013-2015, il padre lavoratore dipendente, entro cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno” e che “il giorno di congedo può essere sommato ad altri due giorni facoltativi, se la madre vi rinuncia”. Un unico giorno, dunque. Si trattava, ai tempi, di un provvedimento rivoluzionario, che da un lato operò una svolta culturale e simbolica sul versante dei padri, ma che dall’altro non era più rinviabile: ci era stato richiesto dalla direttiva 2010/18 che obbligava i paesi membri della comunità europea ad introdurre 10 giorni di congedo di paternità entro il 2022. E così, nel 2020 siamo passati a sette giorni di congedo dopo che è entrata in vigore la direttiva 1158/2019 (che ha abrogato la 2010/18) e dopo che, soprattutto, è scoppiata la pandemia che ha costretto alla rivisitazione complessiva delle necessità di gestione della famiglia. Infine, nel 2022 i giorni di congedo di paternità sono diventati dieci.
In che modo il congedo di paternità può essere considerato uno strumento di miglioramento di questi numeri attraverso la ripartizione dei ruoli genitoriali e la promozione della parità di genere lo ha spiegato a MAG l’avvocato Davide Boffi (in foto), partner di Dentons e head della practice europea di employment and labor.
«Il 13 agosto di quest’anno, finalmente, è entrato in vigore il decreto 151 del 30 giugno 2022 che prevede 10 giorni obbligatori fruibili dal genitore padre. Insomma, dai tempi della legge Fornero sono passati 10 anni e il congedo di paternità è di fatto cresciuto di un giorno all’anno… Questo ha permesso, in parte, di andare incontro ad un’esigenza molto sentita: sostituire i padri alle madri imponendo per legge che anche gli uomini si occupino della famiglia. La storia, infatti, ci insegna che in tutte le realtà aziendali il gap salariale maggiore si realizza quando la mamma sta a casa. Ed è proprio dopo il parto che viene meno il percorso economico e retributivo delle donne, che storicamente si sono occupate sia di figli che di carriera, diversamente dagli uomini. Ma ora, obbligando i genitori padri all’accudimento dei figli, ci si sta pian piano abituando all’idea che anche le donne, se lo desiderano, possono continuare a fare carriera dopo l’arrivo dei bambini».
PER LEGGERE TUTTO L’ARTICOLO, SCARICA QUI IL MAG 189