Avvocati in società? Un’opportunità dimezzata

di nicola di molfetta

Nell’ultimo numero di MAG, grazie alla collaborazione della Camera Arbitrale di Milano e degli Uffici Studi Cciaa di Milano, Monza Brianza e Lodi, siamo riusciti a contare, per la prima volta, il numero di Sta attive in Italia. Nell’articolo firmato da Giuseppe Salemme, apprendiamo che nel Paese sono 535 gli studi legali organizzati in società. In cinque anni, la contabilità delle Sta presenti nella Penisola ha fatto segnare un rilevante +197%.

Cosa ci dice questo dato? Cosa racconta questa tendenza? Senza dubbio che c’è una crescente quota dell’universo professionale legale che avverte la necessità di strutturare la propria attività andando oltre i limiti della tradizionale forma dell’associazione. Mettersi in società (la maggioranza sceglie la forma di Srl) significa lavorare seguendo un business plan, fare un budget, stilare (e pubblicare) un bilancio, cominciare a ragionare per competenza e non più per cassa, avere una visione riguardo le sorti collettive del gruppo di avvocati e non solo per quelle dei singoli, darsi la possibilità di avere un socio di capitale e magari anche di andare sul mercato. Il dato ci dice anche un’altra cosa. Le società tra avvocati sono ancora poche, ma non pochissime. E in appena cinque anni, sono arrivate a rappresentare circa il 5% delle organizzazioni legali strutturate in forma collettiva (che in totale sono circa 9mila, contando ovviamente anche le associazioni).

Una cosa che, invece, questa rilevazione non dice è quanti sarebbero gli studi associati che avrebbero interesse a trasformarsi in Spa e che al momento ancora non ci riescono. Si tratta di un dato difficile da sondare. Del resto, il tema è alquanto complesso. Ci sono ostacoli sul piano burocratico, con l’attuale disciplina fiscale che sembrerebbe rendere a dir poco oneroso il passaggio dallo status di associazione professionale a quello di società di capitali. E ci sono ostacoli sul piano culturale con la difficoltà che chi gestisce uno studio legale incontra a far capire ai suoi colleghi e soci che, forse, quel tanto invocato percorso verso l’istituzionalizzazione non può prescindere da un’emancipazione sul piano del legame individuale tra struttura e componenti. Questo stallo rappresenta un freno enorme per la possibilità di veder crescere, anche nel nostro Paese, organizzazioni dalle spalle sufficientemente larghe per tenere il passo della globalizzazione dei mercati, della digitalizzazione dei servizi e della concorrenza internazionale. 

Se, da un lato, i freni di stampo culturale potranno essere sciolti solo dal tempo e da una sapiente opera di moral suasion, dall’altro gli ostacoli sul piano regolamentare e burocratico potrebbero essere, già adesso, superati da azioni mirate sul piano delle riforme. Perché al momento, la societarizzazione della professione forense appare un’opportunità dimezzata. Più facile da cogliere per chi decide di dar vita ex novo a un progetto professionale, meno praticabile, invece, da chi pensa di convertire una organizzazione già avviata alla nuova forma giuridica per provare a crescere ancora di più. 

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