Benessere a lavoro, prioritario anche in azienda (parte II)

La scorsa settimana parlavamo di benessere negli studi legali (leggi qui l’editoriale)… In particolare, riflettevamo su come l’esigenza di star bene a lavoro sia cresciuta esponenzialmente dopo la pandemia e della possibilità, per evitare di perdere i talenti, di affidarsi a dei professionisti che conducano per l’organizzazione il lavoro sul fronte wellbeing.

Ebbene le cose non vanno diversamente in azienda.

Uno studio condotto da Clyde & Co e Winmark ha rilevato che il 69% dei general counsel (gc) è preoccupato per il benessere mentale dei propri collaboratori.

La ricerca si basa sulle interviste realizzate a 140 legali d’azienda di tutto il mondo.

Secondo il campione i problemi personali e le preoccupazioni delle persone con cui lavorano rappresentano un fattore di alto rischio (lo crede l’80%). Rischio che il 30% non pensa di essere preparato a gestire.

Cosa c’entra la vita personale col lavoro? Nulla, sono cose separate e diverse. Così direbbero intere generazioni. Ma gli ultimi Millennials e i primi Gen Z non la pensano esattamente così e stanno innescando un cambiamento. Potremmo discutere per ore se sia giusto o sbagliato, ma sarebbe poco proficuo. Ciò che conta realmente è affrontare la questione, visto che è reale. Si può anche scegliere di continuare a ignorarla, ma il rischio è che poi ritorni come un boomerang sulla redditività dell’impresa.

ilaria.iaquinta@lcpublishinggroup.it

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